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E mentre ti fai la doccia, vedi sangue colare dalle pareti, lame che affondano nelle carni indifese, brandelli di corpi strappati, organi esposti come in una macelleria disordinata, lenzuola gocciolanti di rosso... Del resto la tua ragione sa benissimo che non c'è proprio niente di cui avere paura. Eppure ugualmente l'ambiente ha la meglio su di te. Prende la tua immaginazione per le briglie e la porta a farsi un giro dove vuole lei, trascinando con sé anche le tue emozioni, senza che tu possa opporre alcuna resistenza. Non è un caso che il fantasy, l'horror, il gotico e il mistery siano nati - e lì vi abbiano dato i frutti migliori - proprio nella terra di Albione, patria di piogge che sferzano umori e di maghi chiaroveggenti, di mostri lacustri e di spade fatate, di nebbie che celano coltelli e di paurose creature della notte.
A volte però non è altrettanto facile. Altre volte la suggestione è capace di prenderti a tradimento e non è uno scherzo capire quali sono gli elementi da cui è scaturita, su che cosa ha fatto presa. E questo è quello che mi è successo a Rügen, grande isola baltica della costa settentrionale della Germania, celebre per le sue Stubbenkammer, le sue bianche scogliere, la mia tappa successiva a Berlino. Ebbene, Rügen è molto grande e ha delle zone molto frequentate dai turisti, praticamente delle Rimini condite coi crauti, da cui quando scopri che dovevi starne alla larga è troppo tardi. Però ha anche delle zone residenziali defilate, rispetto alle rotte battute dai vacanzieri. E per fortuna - mi viene da dire - sono capitato proprio in una di queste. Il posto di chiama Lauterbach. Un piccolo hotel accogliente che, attraverso un giardino, si affaccia su quel mare così bianco, perlaceo, come geloso dei suoi segreti e sempre sull'orlo di una crisi di nervi. Un piccolo golfo. Un molo non molto lungo. Alcune barche, la maggior parte da pesca. Un paio di ristoranti. L'odore di carne alla brace spazzato dal vento teso, di una burrasca che non smette mai di essere imminente.
E così mi sono ritrovato, la sera, con questo tramonto più lungo del normale dietro le nuvole scure poco meno che perenni, mentre passeggio lungo le case per lo più deserte e magari ho avuto l'impressione che da quella lì abbiano scostato le tendine appena appena, per sbirciare e guardare di chi è questo rumore di passi sul selciato, a immaginare che ci sia qualcos'altro oltre questa superficie troppo piatta, troppo tranquilla, troppo ferma, in un certo senso troppo bella per essere vera. Dev'essere per forza qualcosa di oscuro. Come un prezzo da pagare. Un prezzo che deriva dalle ipocrisie della gente, dalla paura del futuro, dal mistero del dolore, dall'inquietante rebus della vita e della morte. O forse solo dalla morsa della noia. Così è un attimo trasformare un omone che, vestito da clown, pubblicizza il suo chiosco di pesce galleggiante («Lecker lecker lecker(1)!») in uno zombie affamato di carne umana e gli affumicatoi di pesce in bare per ignari turisti, un ridente hotel per coppiette in una casa infestata da spiriti di cani morti e un mare bianco e silenzioso in un cimitero di bambini defunti anzitempo.
(1) "Lecker" in tedesco significa "gustoso, appetitoso".
/continua
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