Ruggero Deodato e Giovanni Berardi
E’ stato il film più difficile della sua carriera, sicuramente il più visto (e questo dovrebbe spiegare anche qualche cosa in merito alle scelte forti degli spettatori), e sicuramente il più maltrattato ed il più complicato da gestire nel marasma dell’ipocrisia culturale e perbenista. Stiamo parlando del regista Ruggero Deodato, e del suo film Cannibal Holocaust (1980). Che cos’è Cannibal Holocaust? Anzi quale la forza, negativa per il sistema culturale, ha incarnato? Brevemente la sinossi: quattro americani – piace pensare che siano il simbolo maledetto dell’imperialismo capitalistico statunitense – sbarcano in Amazzonia e raggiungono una tribù indigena. Lì attueranno violenze e crudeltà di ogni tipo sugli uomini, ma soprattutto sugli animali, al solo scopo di portare a casa un documentario sensazionalistico. Ma verranno trucidati, finalmente, dal capo della tribù offesa, e poi mangiati. Il film è uscito sugli schermi nel 1980, sequestrato, torturato, censurato. Infine, vissuto un oblio di venti anni, il film è ritornato, non riuscendo però a togliersi di dosso del tutto l’infamia sanguinaria. E l’ultima delusione e mortificazione, in relazione a Cannibal Holocaust, il regista l’ha vissuta ad Anzio questa estate nell’ambito della prima edizione dell’ Italian Horror FilmFest, quando all’ultimo momento, su una proposta-ordine dell’assessorato al turismo del comune di Anzio, certamente pressato, si è decisa la sostituzione di Cannibal Holocaust con Inferno in diretta (1985). Mortificato, perché Ruggero Deodato è stato accolto ad Anzio cucendogli addosso, e lasciandola apparire, una sensazione: quella di essere l’ultimo dei sanguinari. Eppure Cannibal Holocaust nell’ambito della storia della società, e del cinema italiano in particolare, ha una sua valenza ed una sua realtà anche poetiche, maledettamente poetiche: ad Anzio, ad esempio, mandiamo a dire che Cannibal Holocaust andava visto per quello che il film rappresenta: un documento forte dove poter riflettere, sicuramente vergognandosi, sulla violenza.
Dice Ruggero Deodato, quasi a giustificazione per aver girato questo film: “La mia generazione è cresciuta nell’immediato dopoguerra, quando la campagna era viva, e si vivevano tradizioni culturalmente consolidate e certi riti. Ad esempio la morte del maiale era proprio una festa nel mondo contadino, la si programmava per tempo e tutti assistevano (bambini compresi) al sacrificio violento della bestia, che veniva sgozzata e moriva lentamente dissanguandosi, e tutto questo tra atroci sofferenze. C’era poi l’avvenimento della trasformazione dei galli in capponi, dei piccioni che venivano affogati perché le carni restassero più tenere, e molti gattini neonati venivano scelti e poi annegati al fiume perché andavano, come si dice, limitati. Siamo cresciuti nella normalità culturale di questi eventi violenti. Poi devo dire che Cannibal Holocaust è ormai vecchio di trent’anni, ed io avevo dietro di me ancora fresca la mia gioventù, la mia esperienza contadina. Certo che documentare questa cultura ha dato molto fastidio”.
Nella vita, al di là di tutto, spettacoli simili, anzi della più oscena verità e crudeltà, accadono ancora oggi nei mattatoi ad esempio, o grazie alle leggi sempre in vigore, anzi recentemente anche rinforzate, che riconoscono ancora la valenza scientifica della vivisezione sugli animali indifesi. Dice Ruggero Deodato: «Io non rinnego nulla, ma la cultura, quella che io esprimo, è sempre stata contro una realtà violenta. E Cannibal Holocaust, realizzato con tutti i crismi della verità, anche la più nefanda, era e resta un film contrario alla violenza, era e resta un film di denuncia, e non uno splatter, ma che purtroppo continua a non essere interpretato nella maniera corretta. Cannibal Holocaust, soprattutto, non ha speculato, poichè la vita in Amazzonia, dove il film è stato girato, presentava tutti i giorni situazioni violente, come quelle descritte nel film, con assoluta normalità. Noi abbiamo girato quasi senza sceneggiatura (anche se una stesura c’era ed era firmata da Gianfranco Clerici), io stavo nei luoghi e filmavo, mandavo il materiale a Milano al Mifed (il mercato cinematografico più importante a livello mondiale), e lì veniva comperato dai paesi di tutto il mondo a scatola chiusa, immediatamente. Il produttore da Roma mi implorava e ripeteva “gira Ruggero gira più che puoi e spedisci i filmati”».
Fin qui Ruggero Deodato. Quello che resta evidente è che il film continua a pagare il suo prezzo, alto, per la sua sincerità e la sua essenzialità. In realtà, in passato, già c’erano state narrative analoghe nel cinema italiano, ma nessuna si era imbattuta così ferocemente nella censura e nello sdegno; pensiamo, ad esempio, ai film Mondo cane (1962) di Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi e Paolo Cavara, a Mondo cane 2 (1964) di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, a Ultime grida dalla Savana (1975) di Antonio Climati e Mario Morra, a Savana violenta (1976) di Antonio Climati.
Cannibal Holocaust ha portato alla luce realtà tribali, riti o esempi sanguinari, legati alla cultura amazzonica, ma anche la comune delinquenza violenta ed efferata, introdotta in quei luoghi dalle cosche occidentali. “L’intento”, ripete Ruggero Deodato, “è sempre stato quello della denuncia di una realtà e non del gratuito ed osceno spettacolo fine a se stesso” . Ruggero Deodato ci riceve nella sua bella casa di Roma, un quinto piano arioso e pieno di luce, dove sul comodino del soggiorno staziona il libro “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, premio Strega 2010 per la letteratura italiana. “E’ stato un dono di Enrico Mentana” racconta il regista. Il libro racconta le storie degli uomini umili trascinati sull’agro pontino a redimere il mostro paludoso, dove la malaria, la povertà e l’estrema fatica erano “l’inferno in diretta” che continuamente mieteva vittime, e tutto questo ci sembra, in estrema sintesi, attinente con le tematiche artistiche e culturali espresse dal miglior cinema di Deodato. Aiuto regista dei nomi più illustri del nostro cinema, come Roberto Rossellini, Riccardo Freda, Sergio Corbucci, Mauro Bolognini, Antonio Margheriti, un quintetto di maestri, cui il miglior Centro Sperimentale di Cinematografia rimane sempre debitore.
Dice Deodato: “Se devo ricordare uno di questi maestri, dico Riccardo Freda. Era una personalità davvero pazza, ma da lui ho imparato molto. Mi ha fatto capire il cinema anche da un punto di vista psicologico. Mi chiamava ‘l’Americano’, per il mio modo di fare, di essere, di considerare il cinema”.
Ruggero Deodato ha debuttato quando la società italiana era ancora ingenua e spontanea, quando andare al cinema era, per lo spettatore italiano, un atto quasi automatico, proprio di assoluta fiducia. Di questo frangente storico sono i film, mitici per il cronista, come Fenomenal e Il tesoro di Tutankamen, Donne, botte e bersaglieri, Vacanze sulla costa smeralda, I quattro del Pater Noster, tutti in produzione tra il 1968 ed il 1969. La carriera di Deodato va estremizzandosi negli anni settanta, in coincidenza proprio con un progresso ed una recrudescenza dei rapporti tra gli uomini. In questa ottica si inseriscono film come Ondata di piacere (1975) e Uomini si nasce poliziotti si muore (1976), che rimane il suo unico poliziesco. Dice Deodato: “Avrei preferito girarne altri di polizieschi, tanti, invece non mi è stato possibile. La carriera ha preso altri risvolti, ma non sono né deluso e né pentito per questo. Anche il genere western che io amavo molto e che mi piaceva fare non ha mai decollato nella mia filmografia. Invece da aiuto regista ne ho risolti molti di questi film, soprattutto con Sergio Corbucci: Django (1966), Johnny Oro (1966), Navajo Joe e I crudeli (1967) e, con Giorgio Ferroni, Wanted (1967), dove Giuliano Gemma era il protagonista”. La filmografia di Deodato dopo il 1976, si arricchisce di titoli quali Ultimo mondo cannibale (1977), che darà il via, due anni dopo, all’exploit di Cannibal Holocaust, e a tutta la serie horror: La casa sperduta nel parco (1980), Inferno in diretta (1985), Camping del terrore (1986), Un delitto poco comune (1988), Ragno gelido e Vortice mortale (1989).
Ruggero Deodato oggi è un signore bello, pacato, riflessivo, simpaticissimo ed è un piacere davvero restare al suo contatto e parlare. Innamorato del suo lavoro, e del cinema, al pari di Quentin Tarantino, al quale lo lega ormai una amicizia ed una stima sincere. Le lodi a Tarantino, tutte straordinarie, non si sono contate nella lunga chiacchierata, tanto erano numerose e ricche di ammirazione. Deodato ha raccontato anche l’incontro con la moglie di Joe Dante, che non voleva assolutamente credere che fosse lui il regista di un film così cattivo come Cannibal Holocaust. Deodato sorride e descrive l’incontro con la signora, mimando anche un atteggiamento delicato: “Ma come, non hai il piercing sulla lingua e sulle ciglia, non hai i capelli blu ed arancioni?” chiedeva proprio meravigliata la signora Dante. Continua Deodato: “Quando è venuto da me Eli Roth, il regista-attore tanto amato da Tarantino, io stavo girando, “ahimè che vergogna”, Incantesino per la televisione. In quel frangente mi ha proposto, molto carino, la partecipazione al suo film Hostel 2 e, guarda caso, per un divertente cammeo evocativo nel quale interpreto un cannibale italiano”. Di talento professionale decisamente eclettico, Deodato ha girato anche un Lacrima movie e L’ultimo sapore dell’aria (1978), ed un fantasy come The Barbarians (1987). Questo talento lo porterà a realizzare molti progetti anche per la televisione e, in questo senso, la sua filmografia vanta, oltre ad Incantesino 8 (solo per riferire i più visti), All’ultimo minuto (1971), Il ricatto (1988), esperienza condivisa con Tonino Valerii, I ragazzi del muretto (1994), Noi siamo angeli (1997), Sotto il cielo dell’Africa (1999), Padre Speranza (2001).
Oggi Ruggero Deodato ha ancora tanti film nel cassetto e tanta voglia, seria, di realizzarli. Uno, assolutamente top-secret per la stampa, è ormai pronto per partire in produzione. Ed è un film al quale Ruggero Deodato tiene moltissimo: “Se faccio questo film” dice “allora risorgo davvero”. In bocca al lupo, dunque, “Monsieur – come lo chiamano affettuosamente i francesi – Cannibal”.
Giovanni Berardi