di Ron Howard
con Chris Hemsworth, Daniel Brühl, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara, Pierfrancesco Favino.
Usa 2013
genere, drammatico
durata 123'
La velocità di “Rush” non è solo quella supersonica riferita ai
bolidi della formula uno ma appartiene anche al divenire della storia
che fa sembrare lontano anni luce l’epoca in cui Niki Lauda e James Hunt
si sfidavano per conquistare il titolo mondiale. A far la differenza
con la versione odierna del circuito automobilistico era l’importanza
della guida, non ancora subordinata alla perfezione tecnologica ma
soprattutto l’incidenza dell’errore umano, svincolato dalle misure di
sicurezza che successivamente avrebbero garantito una drastica
diminuzione delle morti in pista. Questo per dire che la scelta di Ron
Howard di privilegiare il confronto dei caratteri e l’umanità dei piloti
rispetto al mondo che gli stava attorno sia dovuto in larga parte dalla
constatazione che il fascino delle gare automobilistiche doveva quasi
tutto a chi stringeva il volante e sfidva la morte pur di conquistare
l’ambito riconoscimento. E’ con questa consapevolezza, messa sulle
labbra di James Hunt ad inizio film, che il regista sulla scia della
cronaca e dei fatti cronaca dei fatti che portarono al fatidico gran
premio del Giappone del 1976 in cui Lauda ancora convalescente per
l’incidente del nurbungring decise di sfidare il rivale nell'ultimo
appuntamento della stagione, preferisce soffermarsi sul privato dei
duellanti ripercorrendo le tappe che anno dopo anno scandirono le fasi
salienti del loro rapporto: dal primo incontro nei campionati di formula
Kart all’approdo nella formula maggiore dove riuscirono a conquistarsi
un posto al sole alla guida di Ferrari e MacClaren, Howard ne sottolinea
la diversità temperamentale – Lauda razionale ed ombroso, Hunt
estroverso ed istrionico – ma anche i punti di contatto – entrambi
furono sconfessati dalle rispettive famiglie che non capivano la loro
passione per le quattro ruote – avendo cura di inserire il materiale
autobiografico in un contesto di credibilità cronologica e sportiva.
Girato con stile classico e contaminato da pulsioni di cinema
blockbuster, evidente nelle sequenze sportive realizzate con immersione
sensoriale, montaggio frenetico ed andamento sincopato, “Rush” può
contare su un’ emotività che gli deriva dalla particolarità di una
vicenda che non lascia indifferenti. Quello che non convince è però il
modo con cui il regista decide di metterla in scena. Costretto per forza
di cosa a semplificare, Howard prosciuga le psicologie dei personaggi
raggrumandole in una serie di tic e atteggiamenti di segno opposto,
enfatizzati dal pathos dello sfondo in cui si muovono ed agiscono i
protagonisti. Cristallizzato su questo schema, con brevi schizzi dei
rispettivi entourage lavorativi e famigliari a completare il quadro (ad
Enzo Ferrari seduto a bordo pista è riservato il tempo di un fotogramma)
il film procede sicuro ma scontato, accumulando un overdose di
scene madri che Howard appesantisce con tempi dilatati ed eccessi
acustici. Prodotto insieme a Brian Blazer (“Il codice Da Vinci”, “Angeli
e Demoni”) “Rush” testimonia la definitiva trasformazione di un regista
che ha rinunciato al cinema personale ed intimo degli anni 80
(“Splash”, “Cocoon”) per abbracciarne un altro di più facile presa e
remunerazione. Opzione legittima per un regista ormai affermato, ma
penalizzante in termini di idee ed inventiva. 





