Ron Howard (Wikipedia)
Ron Howard può essere definito un abile “regista artigiano”, un cineasta che nel corso degli anni si è misurato con vari generi cinematografici, in equilibrio fra costante professionalità e distanza da una dimensione propriamente autoriale. Ha coltivato con tenacia (e scaltrezza) l’idea di un cinema dallo stampo classico, volto ad offrire insieme intrattenimento e coinvolgimento emotivo, nel rispetto della sceneggiatura e delle prestazioni attoriali. Non va dimenticata al riguardo la sua formazione all’interno di quel movimento rinnovatore della cinematografia americana, noto come New Hollywood, che prese piede sul finire degli anni’60 e riscoprì l’essenzialità del cinema, tanto in qualità di “messaggio” che di concetto.E’palpabile invece il contatto con la pista, la sensazione di sussultare sui cordoli insieme ai piloti, stringere con forza il volante nelle curve, accelerare, frenare e cambiare marcia in una manciata di secondi, alla ricerca del miglior inserimento, della traiettoria più congeniale.
Chris Hemsworth e Daniel Brühl
L’inizio è da antologia: 1° agosto 1976, le vetture sono schierate per la partenza sul circuito del Nürburgring Nordschleife, si corre il Gran Premio di Germania, decima gara del Mondiale di F1, James Hunt (Chris Hemsworth) su McLaren M23 e Niki Lauda (Daniel Brühl) a bordo della Ferrari 312 T2, rispettivamente secondo e primo in classifica piloti (per un distacco di 35 punti), si studiano a vicenda nell’ impostare le strategie di gara, osservando il cielo sempre più grigio e minaccioso di pioggia. Ma ecco che tale attacco iniziale viene momentaneamente sospeso, la voce narrante del pilota austriaco ci riporta a sei anni prima, al campionato di Formula 3, all’interno del quale i futuri duellanti iniziarono a farsi le ossa nel mondo delle corse, dando vita a quell’incontro- scontro che segnerà il destino di due uomini sempre in competizione l’uno contro l’altro, ma in primo luogo contro se stessi e i propri limiti, arrivando infine al completamento vicendevole e alla stima reciproca.Olivia Wilde e Chris Hemsworth
Nel parallelo fra le due figure si notano delle similitudini, come la passione per l’automobilismo ostacolata dai rispettivi genitori, che avevano già previsto per i loro figli una continuità con le proprie professioni, e la differenza nel gestirla e metterla in pratica.L’inglese Hunt, socievole e affabile nei modi, appare spinto da uno spirito guascone, sempre in costante tensione agonistica tanto nei circuiti che nella vita, tombeur de femmes dedito ad ogni eccesso, e vede la sua indubbia vocazione come qualcosa da esprimere nella forma più libera possibile, piuttosto che irreggimentarla in una dimensione lavorativa come fa invece l’austriaco Lauda, la cui impulsività appare più meditata e si manifesta nell’essere sin troppo schietto e diretto.
Il suo è un approccio scientifico, si rende manager di se stesso nell’unire business e professionalità, arriva ad investire del denaro per poter correre in F1, studia ogni minimo particolare della propria preparazione fisica e di quella meccanica del mezzo che si troverà a guidare, suggerendo ai tecnici una serie di miglioramenti, spesso provvidenziali a migliorarne l’efficienza.
Daniel Brühl
Il tema dominante del film, la sua trascinante forza emotiva, sta essenzialmente in questa contrapposizione di diversi caratteri e relative differenti emozioni, la sfida ricorrente con la morte che conferisce ad Hunt ulteriori stimoli, mentre Lauda contrappone un freddo ragionamento calcolatore anche verso tale rischio (mai oltre il 20%), il rapporto con le loro mogli, rispettivamente la modella Suzy Miller (Olivia Wilde) e Marlene Knaus (Alexandra Maria Lara), e i compagni di scuderia, come Clay Regazzoni (Pierfrancesco Favino).Gran parte del coinvolgimento emotivo di cui sopra è offerto indubbiamente dalle buone interpretazioni offerte dagli attori, in primo luogo da Brühl nei panni di Lauda, convincente in ogni atteggiamento, nella postura, nella schiettezza di ogni battuta, nell’esprimere con naturalezza l’alternanza fra momenti lieti ed altri più drammatici (come un dialogo con la moglie durante la luna di miele, sulla paura di essere felice, e la sua ostinazione a ritornare in pista dopo il terribile incidente del Nürburgring).
Alexandra Maria Lara e Daniel Brühl
Anche Hemsworth è capace di offrire più di una sorpresa: dà infatti corpo ed anima all’irruenza di Hunt ed offre una tangibile visualizzazione del suo autoalimentato stato di tensione, eterno ragazzone fortemente competitivo nello spingersi oltre i personali confini, fisici e caratteriali, sino alla fine. Brave anche Wilde e Maria Lara, ma se la prima si limita ad aderire allo stereotipo della bella da copertina, sacrificata in fase di sceneggiatura (così come meritava più spazio il Regazzoni di Favino), la seconda riesce ad esprimere con un semplice sguardo intense emozioni: non a caso sarà al centro di un particolare momento durante la gara finale del Mondiale, il Gran Premio del Giappone, quando Lauda, costretto a partire come gli altri piloti nonostante le proibitive condizioni meteorologiche, si ritirerà lasciando il posto di campione del mondo all’eterno rivale, evidenziando, come scrissero all’epoca i giornali, “il coraggio della paura”.Niki Lauda e James Hunt
Howard si conferma sempre all’altezza nel tenere le redini della narrazione, gestisce con maestria la successione fra toni intimisti e quelli più adrenalinici, facendo leva su una spettacolarità sempre funzionale, studiata coreograficamente nei minimi particolari, rombante ma non reboante, ed offre la visione di una F1 distante anni luce da quella odierna, dove il valore umano e la stima reciproca, per quanto malcelata, giocavano ancora un certo ruolo. Emblematico al riguardo il finale, l’immagine dei due nemici/amici intenti in un dialogo- confronto sulle rispettive carriere, sul diverso modo di considerare lo sport e la vita, sempre fermi nelle loro convinzioni, ciò che è un pregio per l’uno è un difetto per l’altro e viceversa. Mentre iniziano ad alternarsi riprese dal vero e finzione cinematografica, ecco che i termini vittoria e sconfitta si ammantano d’inedite sfumature, divengono due facce della stessa medaglia, nella frenetica ricerca, in pista come fuori, di un “oltre”, un qualcosa d’inspiegabile che assume significato, forse, nella definitiva affermazione di se stessi e della più intima interiorità.