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Si è tenuta ieri a Roma la conferenza stampa del film "Rush" (qui la recensione). Presenti nella capitale i protagonisti Daniel Brühl, Chris Hemsworth, Alexandra Maria Lara, Pierfrancesco Favino e il regista Ron Howard. Questo è il resoconto della conferenza che ha seguito per voi Inglorious Cinephiles.
In che modo si affronta una storia del genere? C’è chi la conosce chi non la conosce affatto, Ron Howard da quale punto di vista è partito?Ron Howard: E’ una domanda molto interessante. Importante e personale. Perché da narratore bisogna sempre tener conto di quelle che sono le invenzioni creative, l’intento creativo, a partire dallo sceneggiatore ma arrivando fino al regista. Quello che cerco sempre di fare io da narratore è raccontare la storia vera. Ovviamente cerco di farla passare attraverso quello che è il mio filtro personale e in ogni caso devo dire che la storia vera in questo caso è assolutamente interessante ma solo se raccontata in una certa maniera puoi farla arrivare al pubblico. L’attenzione è sempre su quelli che sono gli elementi importanti. Devi sempre ricordarti che le idee fondamentali, i fatti più importanti, non li puoi tradire. Non puoi modificarli perché in quel caso commetteresti un grave danno. Quello che ho imparato con “Apollo 13” è che bisogna fidarsi del pubblico, in quell’occasione l’ho fatto più di quanto abbia mai fatto in passato. E anche a fidarmi del fatto che il pubblico è affascinato, attirato dalle storie vere. Oltretutto devo dire che ho imparato moltissimo anche da Chris e Daniel. Sono stati bravissimi a calarsi nei due personaggi, hanno fatto ricerche, e mi hanno permesso di migliorare la storia da un punto di vista sia emotivo che psicologico.
A proposito di storie vere: che cosa hanno fatto gli attori e gli autori per prepararsi, e rendere accurata la storia, quali sono stati gli aspetti più interessanti? E poi, quanto Niki Lauda è entrato nel processo di creazione del film?Ron Howard: Peter Morgan conosceva Niki Lauda perché lo aveva già intervistato e, sebbene Lauda non abbia avuto nessun controllo editoriale sul film, si è fidato di Peter e messo a disposizione per tutto quello che poteva servire o essere utile nella realizzazione. Io e Peter invece ci siamo occupati di intervistare moltissime persone, circa una trentina, che conoscevano James Hunt, che purtroppo non abbiamo potuto incontrare personalmente a causa della sua prematura morte, e da queste persone abbiamo imparato tantissimo su di lui e appreso moltissime informazioni. Abbiamo anche avuto la possibilità di usufruire dell’aiuto di tantissimi esperti di Formula Uno, i quali hanno accompagnato il film dalla realizzazione fino alla fine delle riprese.Chris Hemsworth: Per me è stato interessante lavorare a James Hunt, sono andato su internet a guardare moltissime interviste rilasciate da lui, ho guardato alcune gare e poi mi sono letto tutte le informazioni che avevo raccolto e che mi avevano fornito Ron e Peter. La cosa più importante però era la bellissima storia che avevamo in mano. Molto affascinante e molto più avvincente di quanto non lo potesse essere un’altra creata completamente dalla finzione. C’era una sceneggiatura valida in cui la cosa importante e fondamentale era quella di rimanere onesti e fedeli, perche andavamo a parlare di ciò che i personaggi erano stati nella vita. Ho approcciato così’ il personaggio, sentivo pressione per il ruolo e volevo interpretarlo nella maniera migliore possibile per rendergli giustizia. Anche se poi per esigenze di copione mi sono dovuto distaccare un pochino e rappresentarlo così come lo avete visto.Daniel Brühl: All’inizio ero molto spaventato all’idea di impersonare una leggenda vivente, un icona. Sapevo chi fosse Niki Lauda già da quando ero bambino e per me la cosa più importante era cercare di stabilire un buon rapporto con lui, per fortuna è stato disponibile in tal senso e mi ha dato moltissime informazioni, cose che non puoi leggere o vedere da nessun’altra parte. Poi con Chris abbiamo imparato a fare moltissime cose: guidare le macchine, io ho passato un mese a Vienna per imparare l’accento viennese, quello arrogante Austriaco, che per il film era un dettaglio fondamentale. Niki ci ha sostenuto tutti, quando avevamo un problema sul set potevamo chiamarlo e lui ci richiamava entro cinque minuti. C’è una scena nel film, per esempio, in cui Niki deve imprecare, ed io ad un certo punto mi sono detto: no, secondo me lui non direbbe questa parolaccia. Allora l’ho chiamato al cellulare per consultarlo, e lui mi ha confermato: no, io non direi così. Poi mi ha fatto tutto un elenco delle parolacce che avrebbe detto che mi sono segnato.Pierfrancesco Favino: Io mi sono documentato anche rispetto a quello che sarebbe stato anche il mio utilizzo nel film. In quanto una ottima sceneggiatura sa far vivere bene anche dei personaggi di contorno. Di Regazzoni io ho quel ricordo domenicale da bambino, di questi baffi che ogni tanto sfrecciavano e si riconoscevano da sotto il casco. E’ una di quelle facce che fa un epoca. Tutto il lavoro che ho fatto l’ho adattato a quelle che erano le esigenze del film. Regazzoni aveva un accento diverso da quello che poi abbiamo utilizzato, perché il suo in lingua inglese non suonava benissimo. Comunque ci tengo a dirlo, e mi levo subito dall’imbarazzo, io sono orgogliosissimo di questo film, sono estremamente felice di essere stato richiamato da Ron e di aver conosciuto queste persone. Credo che sia uno dei più bei film nei quali ho avuto la fortuna di esserci.
Nel pressbook c’è scritto che nel Gran Premio di Germania sia Lauda che Hunt non volevano correre la gara. Mentre nel film si vede chiaramente che Hunt ha interesse a correre. Potete spiegare come mai questa differenza?Ron Howard: Devo dire che sono talmente tante le complessità, le differenze sottili, i dettagli minimali, anche per quanto riguarda la politica di quella stagione di corsa, che è stato molto difficile rimettere tutti i pezzi insieme. Anche dal punto di vista della drammatizzazione. E questo per me è stato un po’ una frustrazione. Come mi successe per “Apollo 13”. Quindi ad un certo punto sono stato costretto a semplificare perché, e ve lo giuro, si potrebbe realizzare una serie televisiva della durata di cinque anni che parli solamente della stagione di Formula Uno degli anni 70. Questo per favi capire quanto complicata fosse la situazione. Però Morgan ha fatto tutta una serie di ricerche nelle quali era venuto fuori che Hunt in realtà voleva correre, a prescindere da quella che poi è stata la versione ufficiale. D’altra parte il nostro compito, e il nostro obbligo, è quello di realizzare un film che sia d’intrattenimento, che sia entusiasmante, che rifletta la verità e possa far passare una bella esperienza di due ore allo spettatore.
Come avete ricostruito le gare?Ron Howard: E’ una domanda complessa. Posso dire che abbiamo utilizzato tutti i strumenti e mezzi moderni possibili che un regista di cinema può avere a disposizione. Proprio per rappresentare e dare l’immagine di quella stagione. Abbiamo mescolato insieme tutti i strumenti per renderli assolutamente non distinguibili l’uno dall’altro. Materiale di repertorio, filmati storici, abbiamo anche registrato molte riprese, più di quanto potessi mai immaginare. Questo grazie alla capacità delle macchine utilizzate e alla bravura dei piloti. E si, è vero, c’è la computer grafica ma soltanto per dare spazio, ambito e giusta dimensione al film. Volevamo fare immergere il pubblico nel mondo della Formula Uno. Poi la computer grafica ovviamente permette di realizzare quelle scene che, se girate diversamente, potrebbero comportato morti o incidenti.
Ora che Ron Howard conosce meglio la Formula Uno, è diventato anche tifoso della scuderia Ferrari?Ron Howard: Questa è una domanda ostica a cui rispondere in Italia (ride). Io ho deciso di non patteggiare per nessuno, rimango neutrale. Anche se ho avuto la possibilità di incontrare Montezemolo, visitare la fabbrica e Niki Lauda mi ha fatto fare dei giri nella nuova Ferrari Sedan, vicino Fiorano. E’ stata un’esperienza che non dimenticherò mai. Ho estremo e profondo rispetto per lo sport, ho deciso però per non tifare per nessuna scuderia. Né del presente, né del passato. Ah, devo aggiungere che Niki, sapendo che io ero seduto in macchina, ha fatto in maniera che i giri con lui fossero velocissimi. Da pelo sullo stomaco.
Come ha reagito Niki Lauda quando ha visto Alexandra Maria Lara truccata da Marlene?Alexandra Maria Lara: E’ stato un momento molto divertente. A Lauda è piaciuto molto, gli è piaciuta anche l’acconciatura. Abbiamo visto varie foto dei suoi tagli che un po’ mi ero anche spaventava all’idea di doverli replicare. Comunque appena sono uscita fuori dal trucco, Niki mi ha visto e da cinquanta metri ha cominciato a urlare: Marlene, Marlene! Con un grandissimo sorriso sulla faccia.
Oltre ad essere un film sulle corse, “Rush” credo sia anche un film sull’ossessione. Quanto si è ispirato in questo senso Ron Howard al film “I Duellanti” di Ridley Scott?Ron Howard: Per quanto ami il film di Scott non l’ho preso come riferimento per “Rush”. Quello che mi è piaciuto è stata l’individualità di questi due personaggi. Alcuni amici a cui avevo fatto leggere la sceneggiatura ad Hollywood all’inizio si erano un pochino preoccupati, perché secondo loro era la prima volta che affrontavo una storia senza un buono da una parte e un cattivo dall’altra. Hollywood purtroppo la pensa così ma io credevo che non sarebbe stato giusto avere due personaggi nettamente definiti come un buono e come un cattivo. Quello che mi piace è che questi due rivali si trovano ad affrontare questa stagione sportiva come fosse una specie di supplizio, un travaglio, sia sulla pista che fuori. Quindi volevo rappresentare quello che era l’eccitazione , l’entusiasmo, il fascino. Devo dire che se proprio ho preso qualche spunto l’ho fatto dai documentari Rock’n roll dell’epoca. Perche di fondo il mondo della Formula Uno è di per sé un mondo affascinante e quindi volevo rappresentare l’aspetto sensuale, glamour e fantastico. Non volevo realizzare un film sportivo o di sport. Volevo piuttosto riportare quella che era l’atmosfera culturale, la vitalità e l’energia.
Che cosa ha amato Chris Hemsworth di James Hunt e in che cosa non si riconosce affatto?Chris Hemsworth: Quello che mi piaceva di lui era proprio questa figura un po’ infantile. Il suo comportarsi come un ragazzino: entri in una stanza, prendi una cosa, te ne impadronisci, ci giochi e poi quando ti sei stufato la butti via. Però mi piaceva anche la sua onestà, il suo essere diretto, senza preoccuparsi di quello che dicevano o pensavano gli altri. E la cosa interessante che ho visto dalle interviste che ho recuperato era questo sguardo sempre curioso, il suo desiderio di partecipazione con la gente, il voler essere accettato. Era bello vedere questa contrapposizione, da un lato il glamour e dall’altro l’introspezione. In base alla persona con cui ti trovi a parlare trovi sempre differenti descrizioni di James Hunt. Poi, è chiaro, alcune cose che lui ha fatto io non le condivido ma sicuramente ho apprezzato di lui il suo non vergognarsi del suo modo di essere.
Ron Howard, lei ha sempre amato cambiare genere nella sua carriera di regista, cosa la spinge ogni volta a sperimentare?Ron Howard: Io amo tutti i tipi di generi. Non mi sono mai preoccupato di realizzare un film che potesse diventare un marchio. E questa è la dimostrazione che come uomo d’affari non valgo un granché! Quello che a me piace è l’esplorazione, amo il viaggio creativo, raccontare storie diverse che appartengono a culture e mondi diversi.
Secondo Ron Howard è corretto dire che “Rush” non è un film sulla Formula Uno ma più un film su due personaggi che si completano a vicenda?Ron Howard: Ho trovato interessante la complessità dei personaggi. La Formula Uno negli anni settanta ha reso questa storia attraente, così attraente che io da fan avrei voluto vedere al cinema e come regista avevo voglia di raccontare. Vi posso garantire che mi sono divertito ogni singolo giorno di lavorazione.
Il film narra la rivalità fra due personalità differenti, ed è un po’ un tema persistente nei suoi film. Ricordiamo “Frost/Nixon: Il Duello”, “Cinderella Man” ed in fondo anche il protagonista di “A Beautiful Mind” si trovava sempre in lotta coi suoi fantasmi. E’ in queste rivalità che Ron Howard trova il senso delle sue storie?Ron Howard: Mi piacciono moltissimo i personaggi che possono essere messi alla prova in situazioni non ordinarie, che possono essere sorprendenti. Cerco questo tipo di storie. Mi piace vedere le persone affrontare situazioni estreme: il matematico, l’astronauta, il pilota di Formula Uno, il vigile del fuoco. Persone che fanno cose completamente estreme e diverse. Gente disposta ad andare agli estremi per mettere alla prova se stessa. E poi il pubblico riesce a scoprire in queste persone degli aspetti che sono molto simili, hanno molte caratteristiche, con l’uomo comune.
In tutti i suoi film aleggia sempre il tema della morte, inteso però in maniera positiva e mai in maniera negativa. Che rapporto hai Ron Howard con la morte?Ron Howard: Credo il nostro modo di rapportarsi alla morte sia una di quelle qualità che ci definisce come esseri umani. Ciascuno di noi affronta il concetto di morte in una maniera diversa. Secondo me entrambi i personaggi di questo film hanno un punto di vista sulla morte che è molto particolare, condiviso da chi viveva la Formula Uno negli anni settanta. Credo che nello specifico proprio Lauda avesse una connessione fondamentale con questo tema, e forse Daniel può dirvelo meglio di me.
Interviene Daniel BrühlDaniel Brühl: Rispetto ai personaggi più stupefacenti Niki Lauda era un calcolatore. Aveva questa teoria di non dover mai superare il rischio di morte del 20%. Era un pioniere, sapeva che guidare una macchina di Formula Uno potesse mettere a repentaglio ogni volta la sua vita, però sapeva anche capire quando la situazione era quella giusta. In base alle sue sensazioni decideva se correre il rischio di correre oppure no. E’ proprio grazie a piloti come Niki Lauda che la sicurezza in Formula Uno è migliorata nel corso degli anni. E dopo l’incidente fatale di Senna non ci sono più state tragedie di quel tipo.
James Hunt in questo film vive sempre un po’ all’eccesso. Che rapporto ha Chris Hemsworth con questo tipo di personaggi e che rapporto ha nella vita con questo tipo di situazioni?Chris Hemsworth: Se Lauda aveva un approccio di morte da matematico, James aveva un punto di vista molto più istintivo, viscerale. Qualcosa che si è portato dietro in tutto il corso della sua vita, a prescindere dalle corse. Se lui aveva un bisogno faceva tutto ciò che sentiva di dover fare per soddisfarlo, non si poneva problemi e si spingeva agli estremi. Loro vivevano la minaccia della morte, costantemente. Niki la calcolava, James cercava di evitarla indulgendo in una serie di altre attività che potevano essere il bere o il sesso, dei sfoghi comunque. A me piace correlare questa idea della morte all’immediatezza, al presente. Perché se loro non si concentravano sull’istante rischiavano di morire. L’abitudine dell’essere umano è quella di guardare avanti, pensare al domani, sull’oggi non ci si concentra. Quindi queste cose che ti costringono a guardare il momento sono una cosa che a me piace moltissimo.
E’ vero che il colloquio di Alexandra Maria Lara con Ron Howard è avvenuto tramite Skype mentre lei era in cucina a pelare le cipolle?Alexandra Maria Lara: La prima volta che ho parlato con Ron è stato via Skype, è vero. Poi come saprete una volta che parli su Skype con una persona il contatto ti rimane nella lista e una sera, mentre ero in cucina con mio marito a cucinare, Ron mi ha chiamato proprio mentre io stavo pelando una cipolla. Ero un po’ titubante a rispondere perché mi lacrimavano gli occhi, non ero al massimo della presentabilità (ride). Comunque no, la prima volta che ci siamo sentiti con Ron io ero a Berlino e lui in America. Mi ero truccata e fatta carina perché volevo colpirlo, ci tenevo moltissimo ad essere presa per il ruolo di Marlene.Interviene Ron HowardRon Howard: Lei è stata una scelta ovvia come Marlene. L’incontro via Skype è stata un ulteriore conferma: mi ha fatto capire che come volto sullo schermo funzionava.
Com’è il rapporto tra Ron Howard e Peter Morgan? Da dove viene l’idea principale per il film? Durante la realizzazione, come ha trattato la sceneggiatura: era un testo inviolabile oppure di volta in volta veniva ritoccato?Ron Howard: Io e Peter abbiamo lavorato insieme in “Frost/Nixon: Il Duello” e quindi quando lui ha scopeto questa storia e me ne ha parlato entrambi abbiamo riconosciuto che era un argomento affascinante e unico con personaggi entusiasmanti. Abbiamo lavorato alla sceneggiatura facendo delle ricerche, abbiamo fatto prove con il cast. E’ stato un continuo mutamento. Si è sviluppato tutto mano a mano. Se alla fine è risultata una sceneggiatura fantastica è stato anche perché Peter è stato sempre disponibile a nuove idee. Ha partecipato anche come produttore del film.
Entrambi gli attori erano già fan della Formula Uno? Oppure si sono confrontati con qualcosa di sconosciuto e sono stati costretti a fare ricerche?Chris Hemsworth: Non ero un fan di questo sport, mi sono documentato su quello che è stata la Formula Uno negli anni settanta, quindi le mie informazioni su questo sport rimangono sicuramente limitate. Comunque ho avuto modo di apprezzare e di rispettare questo sport. Non è che io da ragazzino abbia scelto di non volerlo seguire, semplicemente il gruppo di amici che frequentavo non lo seguiva. Mio padre però andava in motocicletta, e per me quello è stato un mondo parallelo dal quale un po’ ho attinto.Daniel Brühl: Io sono cresciuto a Colonia, proprio vicino a Nürburgring, quindi da bambino conoscevo bene Lauda ed ero interessato a questo sport. Anche Michael Schumacher viene da quelle parti. Voi lo conoscete Michael Schumacher, no?! Comunque devo dire che sono stato un fan della Formula Uno. Poi con Schumacher che vinceva ad ogni stagione ho iniziato ad annoiarmi e sono passato al calcio e al tennis. Però, dopo aver visto il documentario su Senna, mi sono riavvicinato molto. Poi, dopo pochi mesi, mi è arrivato in mano questo copione e mi ci sono affascinato. Comunque non sono un espertissimo sul tema.
Clay Regazzoni è una figura chiave nella vita di Niki Lauda, perché ha spinto per portarlo come pilota alla Ferrari. Ma il Regazzoni-Favino si sente più vicino a un pilota come James Hunt o come Niki Lauda?Pierfrancesco Favino: Regazzoni secondo me si sente più vicino a James Hunt, credo. Non era il tipo di pilota moderno e disciplinato che Niki Lauda ha portato sulle scene. Forse è per questo che era simpatico. Era un guascone, anche nell’aspetto, lo stesso che lo rendeva, nella mia memoria, persino affascinante. Penso che avesse una grandissima generosità, poi infatti ha avuto modo di dimostrarlo nella sua vita dopo l’incidente che lo ha colpito, facendo cose molto, molto belle verso persone che si son trovate a vivere dei problemi di handicap. E queste sono cose che ho scoperto lavorando al film. Io come persona sono un pochino più regolato. Però, forse, c’è una generosità in lui che capisco e che mi appartiene. Anche il fatto di non avere invidie verso gli altri.Interviene Ron HowardRon Howard: Posso dire una cosa? Credetemi: quando abbiamo composto il cast i primi ad esser stati scelti sono stati Daniel e Alexandra. Poi, con un fantastico provino, ho scoperto Chris. Ma devo dire che quando si è trattato di scegliere l’attore per interpretare il personaggio di Clay Regazzoni ho immediatamente pensato a Pierfrancesco. Sono rimasto molto lusingato che lui abbia accettato di interpretare questo ruolo. E c’è molto più Regazzoni nel film di quanto non ce ne fosse nella sceneggiatura originale, proprio perché Favino è stato capace di aggiungere, con la sua creatività e il suo talento, moltissimo a questo personaggio.
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