Posted 13 giugno 2013 in Russia with 0 Comments
di Matteo Zola
L’opposizione contraria a Putin è tornata in piazza a Mosca e San Pietroburgo per chiedere la liberazione di dodici dimostranti, considerati “prigionieri politici” dagli oppositori, arrestati a seguito dei disordini del 6 giugno 2012, alla vigilia del ritorno di Vladimir Putin al Cremlino. Le opposizioni hanno scelto la data del 12 giugno, giornata in cui si commemora la nascita della “nuova” Russia post-sovietica. La “marcia contro i carnefici” raduna tutte le opposizioni extra-parlamentari, le uniche vere opposizioni in un regime di democrazia controllata, e in testa alla marcia c’era il blogger Alexei Navalny, figura di spicco tra le voci critiche verso il presidente, che nei giorni scorsi ha annunciato l’intenzione di correre per la poltrona di sindaco di Mosca.
Il Cremlino, come ormai fa abitualmente, accusa Washington di finanziare queste opposizioni che si fanno portatrici della difesa dei diritti umani e della democrazia ma che, secondo Putin, sono il paravento degli interessi politici americani tesi a destabilizzare una Russia che si sta facendo concorrenziale rispetto agli interessi statunitensi. Per questa ragione Putin ha già tradotto in legge la norma che obbliga le organizzazioni non governative che ricevono fondi dall’estero e si occupano di politica a registrarsi come “agenti stranieri”, con un termine che rimanda all’epoca sovietica.
La paranoia di Putin non è forse infondata. Se guardiamo alle “rivoluzioni colorate” dell’Ucraina o della Georgia, ma anche alle “primavere arabe” del Nordafrica, ci accorgiamo che una serie di fondazioni, organizzazioni, think tank vicine a figure di spicco della politica americana, hanno finanziato le proteste quando non “educato” alle pratiche di rivolta civile. Tutto in nome della democrazia liberale: obiettivo condivisibile, per carità. Ma Putin, che abbia ragione o torto, è a quelle “rivoluzioni” che guarda quando accusa di ingerenze gli Stati Uniti.
Lo “zar” Putin dimentica però che proprio grazie allo sviluppo economico conosciuto sotto il suo regime si è formata, specie nelle grandi aree metropolitane, una classe media colta e “occidentale” che mal sopporta la stretta di Putin e che avrebbe preferito “un putinismo senza Putin”. E’ quella classe media che oggi lo critica, al di là di qualsiasi accusa di ingerenza straniera.
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(FOTO: REUTERS / SERGEI KARPUKHIN)
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