di Giovanni Bensi
da Mosca - Con la prospettiva che fra meno di due mesi Vladimir Putin (non dimentichiamolo, un uomo dell’ex KGB) ritorni al Cremlino come presidente, si pone, fra gli altri, anche il problema dei diritti dell’uomo in una Russia che, a detta di molti, continua ad avviarsi sulla strada di uno strisciante autoritarismo-paternalismo. E i vari aggettivi che nel linguaggio politico russo vengono apposti al termine “democrazia” (“guidata”, “sovrana”, come già nell’Urss: democrazia “popolare”) non lasciano ben sperare, perché ogni attributo aggiunto alla parola “democrazia” non fa che limitarla. Con le dimostrazioni di massa seguite alla elezioni (assai probabilmente manipolate) del 4 dicembre scorso, la popolazione russa ha dimostrato di volersi riprendere un diritto democratico e le autorità, a dire il vero, non hanno ecceduto in repressioni (niente di paragonabile alla “primavera araba”, vedi Siria). Ci sono dunque spiragli per attendersi una maggiore attenzione per il problema dei diritti?
Nell’anno testé trascorso, tutti intenti a commemorare il ventennale della caduta dell’Urss, ci siamo come dimenticati che compiva 20 anni anche la legge “Sulla riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche”, approvata nell’ultimo scorcio di vita dell’Unione Sovietica. Questa legge ha una grande importanza politico-psicologica, perché ha a che fare con la “catarsi” della coscienza collettiva russa: che cosa deve il paese alle vittime delle repressioni staliniane, e in genere comuniste?
Sappiamo tutti che in Russia non c’è stata una “Norimberga” e che la “Bewältigung”, il “superamento senza oblio”, come in Germania, è stata affidata all’iniziativa privata di un Solženicyn o di un Šalamov. Tuttavia qualcosa si muove. Per esempio il 17 ottobre a Mosca si è svolta una sessione del Consiglio presidenziale per i diritti dell’uomo. Essa ha discusso brevemente le perizie sui casi Magnitskij (il giurista morto in carcere, sembra, per insufficiente assistenza medica) e Khodorkovskij (sul conto del quale, che non è certamente un sant’uomo, sono state però commesse delle prevaricazioni di cui anche il potere sembra rendersi conto). La maggior parte del tempo, però è stata dedicata appunto alla discussione sulla legge riguardante le riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche (si evita il termine “staliniane”).
Però questa legge, ahimè, oggi praticamente non funziona. Nello stesso tempo, dicono i “bene informati” a Mosca, la stessa composizione del Consiglio
e i principi del suo lavoro, con ogni probabilità, sotto il presidente Vladimir Putin, subiranno dei notevoli cambiamenti. Come ha detto in un’intervista alla “Nezavisimaja gazeta” il presidente del citato Consiglio, Mikhail Fedotov, in futuro questo organismo non si occuperà più tanto del passato, quanto dei “problemi dei dispersi durante la campagna cecena e dei problemi delle migrazioni”, Si tratta anche qui di questioni che attengono alla problematica dei diritti dell’uomo: i “dispersi” sono in massima parte ceceni sospettati di essere guerriglieri, rapiti dalle truppe russe e in genere poco dopo fucilati.
Anche per quanto riguarda la riabilitazione delle vittime di Lenin e Stalin i membri del Consiglio hanno suggerito alcuni emendamenti. Per esempio, inserire nuovamente nel testo il diritto degli ex prigionieri politici ad una compensazione del danno morale, diritto che era incluso nel testo originale, ma che poi era stato cancellato. Occorrerebbe appunto una “Bewältigung” di tipo tedesco, di cui in Russia non c’è traccia. È stato poi proposto di includere nell’elenco dei riabilitati quei cittadini della Russia che adesso vivono nella altre ex repubbliche dell’Urss e di trasferire dal livello regionale a quello federale la competenza per le misure di carattere sociali a favore dei riabilitati.