Posted 7 maggio 2014 in Russia with 0 Comments
di Jadwiga Rogoża (trad. Davide Denti)
La vastità territoriale della Federazione russa porta con sé un’immensa diversità in termini di caratteri geografici, economici ed etnici delle singole regioni. Questa diversità si riflette in gravi disparità di livelli di sviluppo delle regioni, così come nella loro identità nazionale, consapevolezza civica, e attività sociale e politica. Stiamo parlando di una “Russia a più velocità”: insieme con le regioni economicamente sviluppate, post-industriali e abitate da regioni attive, ci sono regioni povere, inerti, dipendenti dal sostegno e dai sussidi dal centro. Le grandi città, con i loro superiori tenori di vita, concentrazione del capitale sociale, la crescente necessità di pluralismo in politica ed elezioni concorrenziali costituiscono specifiche “isole di attività” sulla mappa della Russia. Questo prova ancora una volta che i cambiamenti sociali che stanno avvenendo in Russia, insieme al ricambio generazionale, il progresso tecnologico e lo sviluppo economico, sono fenomeni di natura insulare.
L’attuale modello di relazioni tra Mosca e le regioni ha preso forma con la politica di accentramento perseguita dal Cremlino dal 2000. La priorità di questa politica è stata quella di ristabilire il predominio del presidente nel sistema di governo, per recuperare il controllo dell’elite regionale (e degli altri attori politici e commerciali) reindirizzando i flussi finanziari verso il bilancio centrale, da lì arbitrariamente redistribuiti dal Cremlino. Come risultato di questa politica, l’autonomia delle regioni russe è stato ridotta in maniera fondamentale, e la loro capacità di condurre politiche basate sulle specificità locali è stata estremamente limitata. Il controllo politico, economico e amministrativo del governo centrale sulle regioni è così completo che contraddice la forma di governo federale formalmente ancora esistente in Russia.
La politica di centralizzazione crea una serie di conseguenze negative per lo sviluppo delle regioni. In primo luogo , la restrizione dell’autonomia politica e economica delle regioni ha influenzato la performance delle nuove élite regionali. La loro priorità si è spostata dallo sviluppo locale alla ricerca del favore del Cremlino, la cui volontà determina la visione politica
dei leader regionali e la condizione dei bilanci regionali. Questo modello promuove il ruolo della regione come supplicante passivo, per il quale è più facile chiedere un sostegno da parte del governo centrale, offrendo in cambio lealtà, anziché attuare le riforme sistemiche complesse che contribuirebbero ad uno sviluppo a lungo termine. Uno degli effetti misurabili di questa politica è la diminuzione costante del numero di regioni contributrici nette [del bilancio statale].
In secondo luogo, la politica di centralizzazione rende difficile per le regioni utilizzare i loro vantaggi naturali per il proprio beneficio; esse non sono in grado di influenzare gli investimenti nel loro ampio territorio (quali quelli per lo sfruttamento della materie prime) o l’istituzione di zone economiche speciali. Le regioni con una distintà specificità e risorse significative percepiscono il sistema attuale come un modello quasi-coloniale, che limita le loro opportunità di crescita.
D’altra parte , il cardine del modello attuale di federalismo asimmetrico sono le regioni povere e inerziali, le quali tuttavia hanno una superiorità numerica su quelle ricche. Queste regioni non sono interessate ad espandere la propria autonomia, poiché ciò richierebbe loro di trovare fonti indipendenti di reddito, a cui non sono preparate. Ad esse manano i vantaggi competitivi naturali e le abitudini imprenditoriali. Queste regioni vedono la loro unica opportunità di migliorare le proprie condizioni finanziarie nell’aiuto e nell’assistenza del governo centrale, e sono preparate a fornire a Mosca un sostegno incondizionato in cambio.
La nuova fase della politica di accentramento, avviatasi con il ritorno di Putin al Cremlino nel 2012, vede ulteriori restrizioni dei margini di manovra delle regioni, principalmente attraverso nuovi oneri ai bilanci regionali. Attualmente, due terzi dei bilanci regionali sono in perdita, e i governi regionali hanno difficoltà a trovare un equilibrio tra la crescente pressione da Mosca e i problemi finanziari e sociali delle loro regioni. Tuttavia, la limitata influenza dell’elite regionale non gli permette di fare pressioni per soluzioni sistemiche favorevoli. Inoltre, la scarsa qualità politica dell’élite regionale è un altro retaggio della politica di centralizzazione; i politici regionali non hanno capacità di pianificazione strategica , di agire nell’interesse collettivo, e di coordinamento le loro iniziative, soprattutto quando esse sono in contrasto con la politica del centro. Prevalgono invece atteggiamenti particolaristici; le élite usano canali informali per fare pressioni per l’interesse delle proprie regioni, che spesso si limitano agli interessi dei clan dominanti locali.
Il modello esistente di relazioni tra il centro e le regioni, che comporta lo schiacciante dominio di Mosca, non è stato plasmato da meccanismi e accordi istituzionali ufficiali tra i diversi livelli di governo e società. Al contrario, è il risultato di una serie di fattori provvisori, tra cui hna dominato le condizioni economiche e le questioni personali, come la composizione, la mentalità e le priorità della squadra di Vladimir Putin. La debolezza istituzionale e una suscettibilità alle fluttuazioni politiche ed economiche evitano che questo sia uno schema costante e finale, e rendono queste relazioni di natura ciclica.
Attualmente la Russia è di fronte ad un cambiamento in due fattori chiave, economia (prospettive di stagnazione) e politica (la legittimità in deterioramento della classe dirigente). Nella prospettiva dei prossimi anni, l’escalation di queste tendenze può portare all’erosione del sistema di potere al Cremlino e valorizzare gli sforzi delle regioni più attive per modificare il modello di relazioni con il centro. Tuttavia, il grado di debolezza istituzionale e dei gruppi dirigenti e la mancanza di abitudini democratiche può trasformare il processo di negoziazione di nuovi principi di relazioni in un nuovo accordo dietro le quinte tra élite centrali e regionali, con queste ultime guidate non tanto dagli interessi delle proprie regioni, quanto dagli interessi dei propri clan. Come risultato, l’alternativa al corrente modello centralizzatu può essere non tanto un maturo modello federale, ma una nuova variazione di un federalismo deforme, che ricorda quello degli anni ’90, i cui beneficiari furono selezionati “baroni” lcali.
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