Bologna, Locomotiv.
Per citare Giovanni Rossi, “si potrebbe scrivere un libro sulle accoppiate improbabili del tipo Puff Daddy & Jimmy Page”. Russian Circles e Chelsea Wolfe si incastrano in questo tour, ma forse il duetto non è del tutto scontato.
Trovo interessante Chelsea Wolfe, più che da un punto di vista musicale, non più così stupefacente, per il lato sociologico. Con l’uscita di Ἀποκάλυψις (2010, Pendu Sound Recordings, Baby Birch Records) la ragazza di Los Angeles è riuscita a coniare uno stile che piace un po’ a tutti. In particolare interessante il modo in cui si è inserita nelle mentalità delle scene di metal estremo (forse anche grazie a una sua impronta un po’ gothic), presso le quali è diventata in qualche modo famosa, e stasera ne abbiamo un prova tangibile.
Il Locomotiv è pieno, stipato di gente, e caldissimo, ma si rivelerà ottimo, come per gli altri concerti di quest’anno, per quanto riguarda l’audio. Questo fattore enfatizza e completa l’impeccabile esecuzione dei due live, che sono stati perfetti, cosa che non sarebbe potuta succedere in nessun’altra venue di Bologna. So già che non arriverò alla prima fila, ma trovo lo stesso un ottimo punto da cui godermi il concerto, che inizia puntualissimo alle dieci.
Quando la musa sale sul palco, ricreando subito un’atmosfera “orientativamente” rituale, spero che canti soprattutto brani tratti dall’acustico Unknown Rooms: A Collection Of Acoustic Songs (2012, Sargent House), come fece l’ultima volta che si presentò a Bologna, ma gli enormi ampli alle sue spalle e il gruppo al seguito mi fanno capire il contrario. Infatti l’esibizione sarà di forte impatto, anche visivo, quietandosi proprio solo per l’unica canzone presa da Unknown Rooms, suggestivamente eseguita alla fine del concerto. Il live scorre limpido, senza errori e senza interruzioni di nessun tipo. Chelsea Wolfe si presenta elegante e non rinuncia alla sua vena dark, indossando un lungo vestito nero avvolto da uno scialle bianco candido che la illumina, facendola risaltare, com’è giusto, rispetto ai suoi accompagnatori. Anche le luci aiutano a creare un’immagine immacolata della cantautrice gothic-folk, che ci strega, ci incanta. Per tutto il tempo non riusciamo a staccarle gli occhi di dosso, non tanto per la sua bellezza, ma per il suo fascino, che – come dicevo prima – è forse ciò che l’ha resa così popolare. L’uscita dallo stage, dopo un’ora buona, non è da meno: la Wolfe evapora fra un bianchissimo fumo e luci accecanti, ringraziando i presenti.
Lo stesso discorso, dal punto di vista stilistico-sonoro, vale per i Russian Circles. Il post-metal di quest’affermata band di Chicago manca un po’ di originalità, ma (per citare un altro critico italiano) l’originalità è sopravvalutata, e questo discorso calza a pennello una definizione fin troppo particolareggiata del genere dei Russian Circles che, “sperimentando” math-rock, post-rock e metal, ricreano universi già sentiti da tempo, e che nulla aggiungono a ciò che si era detto in passato sul tema, anche all’interno della loro stessa discografia. Sta di fatto che questi déjà vu sono incriticabili: siamo di fronte a ottimi musicisti con delle ottime canzoni, che a lungo andare stancano. Il concerto, dura un’ora e mezza e riceve un’affluenza minore rispetto a quello della Wolfe e non convince tutti a fermarsi per il bis, che, eseguito con la stessa Wolfe alla voce, risulta una delle parti più interessanti del loro set.
Foto di Hillel Zavala per Oca Nera Rock.
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