Ogni tanto mi capita di scrivere dei pezzi più tecnici e devo confessare che non mi fa piacere.
Non perchè non mi senta gratificata nel descrivere le tecniche orticolturali, anzi, su quelle finisco per essere fin troppo prolissa tanto non mi par vero di poterne raccontare.
Ma sugli argomenti tecnici ci sono persone molto più preparate di me, anche se magari per mille motivi non scrivono. C’è poi una manciata di persone che fa entrambe le cose e non mi sembra che attualmente in Italia manchino i manuali di giardinaggio, alcuni scritti persino bene.
Il dispiacere che ho è quello di dover sottolineare spesso, troppo spesso, elementi che dovrebbero essere dati per scontati nel bagaglio di conoscenze di ogni giardiniere, ma che puntualmente vediamo sconfessati.
Da ciò si deduce una conoscenza tutta superficiale, appresa da sbocconcellamenti di conversazioni con chi ne sa di più, da letture smozzicate, da programmi televisivi un pochetto arruffoni, dalla pratica auto-appresa per mancanza di possibilità o di volontà.
C’è ancora una gran confusione in Italia per quello che riguarda il significato di “rustico e “delicato”.
Questo è senz’altro dovuto alla penuria nominis della lingua italiana per quello che riguarda il giardinaggio.
Le altre lingue importanti d’Europa hanno scelto il termine “resistente” o “robusto”, che dà molto più l’idea della tolleranza al freddo da parte delle piante.
Sebbene anche il francese abbia un intoppo di analoga natura con la parole “vivace” che signifca perenne ma è anche sinonimo di allegro, vivo.
Chi non ha mai sentito i peli del braccio sollevarsi sentendo dire: “Sì, è una bella pianta, ma a me non piace perchè mi dà l’idea di campagna: è rustica”.
Esempio tipico: il fico d’india.
Il fico d’india (Opuntia indica, O. ficus-indica) è da secoli utilizzato nelle campagne per delimitare gli appezzamenti di terreno e per parcellizzarlo, per fungere da siepe frangivento, da barriera per il fuoco e anche da recinto per gli animali da pascolo e da aia.
Diciamo che più “di campagna” del fico d’india non ce n’è.
E tutti sappiamo che “campagna” in latino si dice “rus”, donde il termine “rustico”. La rondine si chiama infatti Hirundo rustica, poichè abitatrice delle campagne, mentre il rondinotto dal ventre bianco è la Delichon urbica, cioè abitante dell’urbe.
Non avete dei parenti che vi hanno appioppato l’epiteto di “cugini di campagna”? Qualcuno ce li ha.
E quando si vuol dire di un prato che non è fatto solo di festuca o poa, ma anche di fiorellini e infestanti varie, si dice che è un prato rustico (consiglio a latere: se volete risultare assolutamente irresistibili, dite gazon, così non sarete tacciati di usare anglismi come il miiiiitico meadow! Ma attenzione, gazon, prairie gardens e meadow non sono la stessa cosa).
Allora piante come il Clorophytum comosum, la Bougainvillea, alcune grasse, le agavi, le aloe, gli agrumi e altre ancora, che sono notoriamente poco resistenti al freddo, vengono tacciate di essere figlie di rustica progenie.
Così come piante di una rusticità a tutta prova, come le peonie, gli aceri, le rose rubiginose, gli ellebori, ecc. per il loro aspetto fine ed elegante, o per la relativa difficoltà di coltura, vengono definite “delicate”.
Io spero che la parola “rustica” venga restituita infine alla campagna da cui etimologicamente proviene, e che anche in italiano si usi la parola “resistente”, come alcuni già fanno.
Corrette definizioni orticole:
Rustico: resistente al freddo
Delicato: non resistente al freddo
Le diciture sono genericamente le seguenti: tropicale/molto delicata, abbastanza delicata, delicata, poco rustica, abbastanza rustica, rustica, molto rustica.
E’ semplice, ed è tutto qui.
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