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Parlando della superficialità e del vuoto narrativo che affliggono gran parte dell’odierna cinematografia, non si potrà fare a meno di citare Ruth e Alex, ultima “fatica” di Richard Loncraine. Presentato alla trentanovesima edizione del Toronto Film Festival, l’opera annovera quale sua – unica – ragion d’essere la prima collaborazione tra due grandissimi attori del panorama americano, Morgan Freeman e Diane Keaton, la cui presenza è sfruttata e abusata fin dal titolo – traduzione dell’originale Five Flights Up.
Reduce da un percorso registico estremamente ecclettico e a tratti schizofrenico – in cui al Riccardo III si alterna l’interpretazione di Harrison Ford in Firewall –, Loncraine è incapace di creare un’opera dal respiro unitario e olistico. La sceneggiatura di Charlie Peters, basata sulla novella di Jill Ciment, Heroic Measurs, vede susseguirsi senza linea di continuità o filo logico un’accozzaglia di subplots e vicende totalmente aliene l’una dall’altra. Pur contribuendo a rendere la pellicola sconnessa e frammentaria, le varie storie-nella-storia fanno da sottofondo ai due veri centri propulsivi dell’azione, posti sotto forma di domande: riusciranno i nostri eroi a ottenere 950.000 $ dalla vendita del loro bell’appartamento a Brooklyn per potersi spostare in un altrettanto costoso nido d’amore a Manhattan? E ancora, riuscirà Dorothy, l’anziana cagnetta dei due, a camminare dopo un intervento chirurgico da 10.000 $? Sebbene a questi due interrogativi si sarebbe potuto esaurientemente rispondere in un paio di scene, Loncraine ha scelto di far muovere ogni singolo attimo dei novanta minuti della sua pellicola attorno alle due inessenziali questioni.
Così l’anziana coppia, che per quarant’anni di matrimonio ha vissuto sempre nel medesimo enorme appartamento, dovrà far fronte con il perfido mercato dell’immobiliare e con le sue ansiogene dinamiche. Ad aiutarli sarà la nipote di Ruth, Lily (Cynthia Nixon), forse l’unico personaggio ben riuscito e adeguatamente caratterizzato. Dei vari plot secondari nessuno è immune da una certa gratuita superficialità. Dal contesto sociale e politico che circonda i due e influenza i moti del mercato immobiliare – un pericoloso terrorista si aggira per la città –, alle ragioni che li spingono a voler cambiare casa, ogni sfaccettatura della vicenda viene fugacemente mostrata, senza alcuna credibilità o coerenza narrativa. A temi grandi e importanti – uno su tutti: l’infertilità della donna – viene relegata una battuta o due, scelta che contribuisce a fomentare il senso di spaesamento e l’irritazione dello spettatore.
Sebbene l’uso di vari flashback tenti di dare tridimensionalità ai due e al loro trascorso, le interazioni della coppia appaiono fredde e distaccate, certo non consone a un rapporto coniugale lungo quasi mezzo secolo. Oltre all’utilizzo di prevedibili e banali immagini della primavera delle loro vite, un'altra goffaggine narrativa che contribuisce a peggiorare un quadro di per sé già problematico, è l’utilizzo del voice-over di Morgan Freeman – clichè sulla cui banalità non c’è bisogno di spendersi oltre. Ruth e Alex è nel complesso una pellicola lenta, noiosa, fruibile solo quale perfetto esempio della decadenza del cinema d’oggi. Erica Belluzzi
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