E ne hanno motivo, perché grazie a loro il Rwanda ha fatto passi da gigante sulla strada dell’uguaglianza dei sessi. Sotto il governo clericale di Habyarimana le donne erano soggette all’autorità del marito, non potevano aprire un conto un banca, non potevano ereditare, non potevano intestarsi una proprietà immobiliare, non potevano votare. Un’altra prova che, quando hanno carta bianca, i cristiani trattano le donne come i musulmani. Ma siamo sicuri che un Parlamento maschile senza il controllo dei preti non avrebbe ugualmente eliminato queste ingiustizie? In tutti i paesi civili le donne hanno gli stessi diritti degli uomini anche se il Parlamento è a maggioranza maschile.
Da un Parlamento a maggioranza femminile ci si aspetterebbe qualcosa di più. Delle leggi fatte dalle donne per le donne, capaci di andare contro la volontà degli uomini. Per esempio, l’aborto libero e gratuito. Ai tempi di Habyarimana l’aborto era consentito soltanto in caso di pericolo di morte per la madre. Il governo attuale lo permette anche in caso di stupro e incesto, ma non basta. Che cosa significano queste limitazioni? La scelta dev’essere lasciata alle donne. Una donna deve avere il diritto di scegliere se abortire o meno, punto e basta. Nessuno deve ostacolarla e l’aborto non deve costare un centesimo. Soltanto così si potranno salvare le migliaia di donne che ogni anno in Rwanda muoiono di aborto clandestino.
Così mi piacerebbe che, fra un boccone di saumon fumé e un sorso di Chablis, una socia del FFRP dicesse alle colleghe parlamentari: “Ehi, ragazze, che cosa ne direste di salvare le 4000 donne che ogni anno in Rwanda muoiono di aborto clandestino? Facciamo una bella legge sull’aborto libero e gratuito.” ”E se gli uomini non vogliono?” “Li mandiamo al diavolo.” Ecco, questo si chiamerebbe parlare da donne.
Dragor