Ricordo un concerto, laddove la memoria non conosce giacenza, ma vivida impressione quotidiana che insegue il suo ieri in un domani che s’ingemma dell’orma che il proprio timido passo ha appena solcato. Ricordo persino, nell’emozione di solcare lo spazio vivo d’un teatro in una serata realmente vibrante nei volti degli affluenti, i sorrisi curiosi o una amorevole eleganza dell’animo e non degli abiti, tipico degli approdi che l’anima compie in un delicato anfratto armonico, e di aver sbagliare persino il palco che mi era stato destinato da una ricevitoria del centro, inconsapevole del dono che mi andava riservando, nell’emozione del momento.
Ricordo introduzioni tecniche e sagaci che avevo letto prima del concerto nel prefigurarne il suo svolgimento e giocare d’anticipo, come si fa per gli incontri amorosi più attesi, e la furbizia di chi scopre l’ignoto con il noto e lo decora d’una abitudine compassata, uno scrivere scarnificato che non crea non dico apporto, ma neppure appiglio a chi vibri in attesa d’una piccola ed enorme cosa quale è un concerto, volevo un’emozione e non leggevo che note tecniche durevoli, come durevole è la pietra di ogni lapide, ma avanti a me si andava compiendo vita e sacralità della stessa, il rituale della poiesis in un vasto temenos che tutto amplifica, poiché solo la poesia genera la poesia, come ha scritto Ralph Waldo Emerson.
Ricordo poi il buio e il silenzio dell’attimo in cui l’aria si sospende e ogni spettatore ferma le parole per un rispetto reverenziale, di quell’attesa che sfugge al mistero del musico che solca invece con l’orgoglio delle sue molteplici armonie l’aria tesa della meraviglia che va compiendo.
Ricordo infine un’ubriacatura d’anima e le luci che si riaccendono, io che applaudo confuso e convinto e pensò “ricorderò tutto questo” mentre la scialuppa scioglie gli ormeggi e resto l’unico che batte le mani mentre a prua, o più semplicemente all’uscita del teatro, già si annida una folla diffusa nel vento della sera, troppa sera che infuria, in cui un attimo dopo sono immerso anch’io con delicato stupore.
Era l’11 novembre 2011 e una frazione appassionata e bellamente brulicante di Firenze depose un’altrui alveo di bellezza nella quotidiana alcova. Il Ryuichi Sakamoto Trio probabilmente si stringeva, elegante e misurato dietro il sipario, in un abbraccio per l’armonia riversata su un pubblico estasiato. Dopo pochi mesi accade un fatto curioso, perché Alva Noto nella scia di passioni umane rarefatte che attraverso la lezione del maestro giapponese permeavano di purezza la grigia e triste aria invernale fiorentina, tenne un live d’impatto indiscusso al Museo Marino Marini, eseguito sulla scia dei suoi ultimi lavori e di un approccio allargato allo spazio del dono che un musicista può offrire, con una serie di proiezioni visuali che integravano le sinestesie di frequenze ora minimali, ora vorticose, amplificate dalla postazione dell’artista tedesco.
Oggi, nel settembre che segue, i due artisti tornano a incontrarsi e colludere di suoni, visioni e prospettive sonore. Se oggi infatti ci sono due certezze nel panorma della musica odierna verso cui aspettarsi la rivelazione del futuro musicante, questi corrispondo, in modi diversi ma complementari, all’eccellenza assoluta del maestro Ryuichi Sakamoto e a quella più emergente ma già riconosciuta del musicista, artista e perfomer Alva Noto. Ed adesso facciamo un passo indietro, cercando di capire come, dove e perchè nasce quest’incontro fecondo destinato ad emozionare centinaia di attente platee di tutto il mondo.
Ryuichi Sakamoto, che non ha bisogno di presentazioni (ed odio questa spesso apposta in premessa per mero gusto retorico ma nel caso presente così esatta), è un musicista, compositore e pioniere delle contaminazioni tra musica tradizionale d’Oriente e avanguardie elettroniche occidentali. Senza alcuna pregiudiziale di sorta e nell’assoluta convinzione che ogni suono può generare arte, il maestro giapponese ha saputo contaminare e lasciarsi contaminare dal pop alla dance, dall’ambient alla bossa nova, dall’etnica alla classica. Membro degli Yellow Magic Orchestra, per poi intraprendere la carriera solista, le collaborazioni a titolo dell’autore sono innumerevoli e di limpido spessore: David Sylvian in quasi tutte le sue produzioni, ma anche Iggy Pop, Caetano Veloso, Thomas Dolby, Youssou N’Dour e, appunto, Alva Noto. Le numerose colonne sonore cinematografiche a sua firma e per le quali ha ottenuto premi prestigiosi, come quelle di “Furyo”, “Il tè nel deserto”, “Il piccolo Buddha” e “L’ultimo imperatore”, che gli valse addirittura l’Oscar, hanno contributo a donare al maestro giapponese un’aurea di indiscutibile chiarità, eleganza e raffinatezza, ed a riempire teatri di tutto il mondo in preda al vorticoso aleggiare di melodie nuove che paiono tesori incontaminati dell’espressione umana che anela al sacro, al cielo e al silenzio.
Alva Noto, pseudonimo di Carsten Nicolai, è un artista tedesco attivo tanto nell’ambito delle arti sonore tanto in quelle visive e nelle intersezioni espressive generata dalla fusione dei due diversi approcci espressivi. Nel 1999 ha fondato la Raster-Noton, etichetta discografica tedesca di musica elettronica di riconosciuto valore e celebre tra addetti ai lavori. Le composizioni musicali di Alva Noto sono accompagnate una sua personale rappresentazione visiva del suono, in una istantanea traduzioni espressiva che coinvolge pienamente lo spettatore e proitetta l’immaginario dell’autore in compatte composizioni elettro-minimali, pienamente elettroniche, glitch, ambient e, quando non si hanno adeguati termini per definire il progetto artistico d’un essere umano e si sfocia in una lista di equivalenti, è necessario ammettere che si è davanti ad un “oltre”. Perché Alva Noto è oltre l’elettronica, in bilico tra vibrante tensione musicale e densa progettualità visuale. e le sue installazioni sono state ospitate nei più prestigiosi spazi espositivi di tutto il mondo, come ad esempio il Guggenheim Museum di New York, la galleria d’arte Tate Modern di Londra e la Biennale di Venezia. Nell’ambito musicale ha collaborato spesso con altri musicisti, anche di generi musicali differenti, come Blixa Bargeld, cantante e fondatore degli Einstürzende Neubauten, con il quale nel 2010 ha prodotto l’album “Mimikry”, e Ryuichi Sakamoto, con il quale ha prodotto ben 5 album e condensato in apparizioni visual-musicanti un’epopea artistica che oggi torna a toccare di nuovo l’Italia e Chieti, che risponde presente con un sold out fulmineo che lascia intravedere tutto il potenziale che il duo riesce a sprigionare in dimensione live.
Organizzato nell’ambito del progetto Humani, con lo scopo di sviluppare eventi musicali in cui si restituisca centralità alla piena espressione dell’uomo artista oltre ogni futile logica meramente contabile, e prodotto da Gianmarco Pescara (Rea.Pro.Gi.srl) con la direzione artistica di Arturo Capone vede la collaborazione del Comune di Chieti e del Teatro Marrucino, sede dell’evento, questo intende trascrivere per una pur breve serata un orizzonte possibile che grava tra la più feconda metafisica e l’umanità più vasta, fondendo i distinti caratteri dell’Io postmoderno e la dualità del tempo che ci accade.
“Dall’essenzialità giapponese alla ricerca visionaria tedesca, la fragilità del passato viene contrapposta alla durezza del nuovo mondo”, ed è nell’attimo in cui le dita del musico danzano nell’aria, ed è nell’attimo in cui molteplici armonie si disgregano con delicato stupore, che si compie un rituale antico in chi ascolta, che si compie la possibilità implicita di ogni domanda. Perché quell’attimo, quel suono, quel tempio musicante, evocano ogni risposta e ogni vastità, perché quell’armonia è la terribile bellezza d’ogni primigenio silenzio. Di questi attimi, di queste armonie, di questi silenzi è composto un dialogo astrale, che Ryuichi Sakamoto & Alva Noto hanno il dono di saper testimoniare.