Magazine Psicologia

S come… Silenzio

Da Racheleceschin

silenzio-pausa

L’essere umano è profondamente egoista. Questo giustifica buona parte delle nostre azioni, determinate da una spinta che va oltre il nostro controllo: l’istinto di auto-conservazione. Questa spinta primitiva ha assunto via via confini più ampi, includendo il concetto di benessere. Un aspetto vero e riconosciuto dalla comunità scientifica ma, c’è un MA.

La settimana scorsa ho partecipato ad un ritiro di insight dialogue. Questa pratica si propone di estendere la consapevolezza e la tranquillità della tradizionale meditazione di consapevolezza al momento in cui avviene il contatto interpersonale.

La meditazione relazionale ci stimola a renderci conto e a osservare quando scivoliamo in schemi abituali di reazione con gli altri, e apre l’accesso alla possibilità di sperimentare modi alternativi, in sintonia con l’emotività. Ad esempio: quali sono i pensieri che si fissano nella mia mente quando sono in relazione con un’altra persona? Cosa succede se lascia parlare me? Cosa scatta se noto che non segue il mio ritmo di parola? Se è molto incuriosito oppure se è lontano e inaccessibile? Ogni situazione scatena in noi una serie di emozioni che a loro volta producono una batteria di pensieri nei quali tendiamo a identificarci. L’idea dell’insight dialogue è proprio quella di offrire uno spazio dove poter riconoscere quei pensieri e permetterci di distanziarci un po’. Se una certa situazione, ad esempio parlare con una persona scontrosa, ha sempre suscitato in me una reazione di fastidio e un pensiero insofferente, la pratica dell’insight dialogue mi permette di “fare pausa” e di espormi a quelle sensazioni, esplorarle e capire quali pensieri sorgono senza attribuirgli necessariamente nessun giudizio nè etichetta.

Le condizioni fondamentali sono l’ascoltare fino in fondo e il dare voce alla verità del momento, lasciando che il nobile silenzio faccia da sfondo ai momenti dialogici e da cornice e sostegno all’intero periodo di ritiro.
La meditazione e il sostegno dell’insegnante Mary Burns hanno risvegliato in me l’idea che la felicità sia raggiungibile, ma bisogna cambiare la prospettiva. Il silenzio, la pratica e l’investigazione sono le condizione necessarie per questa rivoluzione.

Tornando alla natura dell’essere umano, questo spazio di cinque giorni mi ha permesso di capire che gli esseri umani sono egoisti per sopravvivere ma, gli stessi, sono anche sorprendenti, sensibili, spesso amorevoli e per lo più stressati.
L’obiettivo di questa vita è inesorabilmente orientato al fare, all’avere, al dare per ricevere, all’arrivare, al primeggiare. E’ chiaro quindi che per arrivare ad ottenere questo tipo di soddisfazione non c’è spazio per gli altri, dobbiamo necessariamente essere egoisti. Tutto questo sarebbe ottimale se avesse come obiettivo la nostra felicità ma, e qui si torna al MA, non siamo felici. Quando otteniamo quello che vogliamo viviamo un attimo, un barlume di gioia che poi svanisce per inseguire la meta successiva.

Quest’occasione mi ha aiutato a capire che questa vita, con così poca gentilezza e amore condizionato, non mi può soddisfare e ho la sensazione che non mi soddisferebbe neanche se potessi realizzare tutti i miei sogni, dai più complessi, che riguardano la mia realizzazione come professionista ai più infantili come quella di poter mangiare chili di marshmallow senza subirne conseguenze.

L’essere umano è molto di più di una macchina creata con lo scopo di arricchirsi e godere della vita. Il dott. McGilchrist, psichiatra, specialista della mente, ci spiega molto bene come funziona il nostro cervello, osservandolo trasversalmente nel corso dell’evoluzione. Sembra infatti che la capacità empatica di entrare in relazione con l’altro e occuparci con gentilezza e disponibilità dei suoi bisogni, sia stata schiacciata da un IO che è diventato l’unica ragione della nostra vita. Me, myself and I. Purtroppo il video è in inglese ma potete trovare una traduzione (non ufficiale) qui. Vi consiglio comunque di guardare prima il video e prestare attenzione soprattutto alle immagini.

Ecco perché il silenzio è importante. Il silenzio non è vuoto: è spazio. E se c’è spazio allora c’è la possibilità di comprendere in modo più profondo i bisogni delle persone che sono intorno a noi, c’è la possibilità di creare cose nuove, più autentiche, ci offriamo l’occasione di ascoltare cose meno udibili e di amare in modo più profondo. Il silenzio ci aiuta a riprendere il contatto con il nostro emisfero destro e quietare le richieste pressanti del sinistro. Se riuscirò a riempire quello spazio di amore, di gioia, di autenticità, di relazioni, io credo che potrò ritenermi una persona soddisfatta e, perché no, felice.

photo credit: * RICCIO via photopin cc



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