Un disco che arriva dopo un incidente, è sempre un disco sofferto, e per questo forse più sentito. Di tutti gli album degli anni settanta, quelli che l'hanno consacrato e che ne hanno segnato il periodo adulto - si fa per dire, qui aveva ventiquattro anni e una carriera abbondante - Fulfillingness First Finale è quello forse più impegnato, sotto diversi punti di vista. Probabilmente più impegnato nelle tematiche affrontate, musicalmente non meno brillante, ma forse meno assimilabile. Proprio grazie a questo, è forse il punto di fine e allo stesso tempo punto d'inizio, per il successivo Songs in the key of life, un modo per ricapitolare quello che è stato e quello che a breve sarebbe stato. Come sempre in tutto questo trovano spazio evoluzione e percorsi visionari, ballate dolorose, sperimentazioni, sfumature latineggianti, e la solita eleganza negli arrangiamenti. Meno travolgente, più sottile nelle melodie, attraversato dalla morte sfiorata che ne ha in qualche modo scosso la coscienza, è allo stesso tempo conferma del talento esposta nei dischi usciti prima e tassello fondamentale per portare la propria arte a un livello ancora maggiore. Inizia con una esortazione - Smile Please - e finisce con un'altra - Please Don't Go - in mezzo un saliscendi emotivo che riporta l'artista al punto da dove era partito. Con in più, una consapevolezza nuova.
Balthazar Smith
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