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Sabahalher

Creato il 06 gennaio 2014 da Pim

 

Da:

Pim

A:

E.

Inviato:

Mar Gen 11, 2005 11:34 am

  Oggetto:

Sabahalher, cara E.

Quella che ho vissuto in Terrasanta è stata un’esperienza intensissima, mi ha donato forti emozioni e una consapevolezza nuova. Provo a sintetizzarla in qualche modo. Anzitutto, eravamo un gruppo di circa sessanta persone provenienti da *** e dintorni. Ci accompagnavano due guide molto valide, le quali ci hanno aiutato ad entrare nella realtà sociopolitica e religiosa di quei luoghi che è molto intricata. Molto più intricata di ciò che i media riferiscono.

Entrare e uscire da Israele è assai complicato. Tanto a Milano quanto (soprattutto) a Tel Aviv, la Security ci ha sottoposto ad almeno sei controlli di passaporti e bagaglio, più un vero e proprio interrogatorio. Per la nostra sicurezza, ci è stato detto, comunque sia la faccenda ci è sembrata lunga e stressante. Nei pressi del gate e sulla pista di Malpensa sostavano militari armati che sorvegliavano sull’imbarco e sul decollo. Al Ben Gurion, guardie in borghese con mitra si trovavano ovunque.

Abbiamo trascorso le prime due notti a Nazareth. Qui abbiamo visitato, tra l’altro, la basilica dell’Annunciazione e la Sinagoga. Siamo saliti sul Monte Tabor e abbiamo traversato il lago di Tiberiade, alla volta del Monte delle Beatitudini e Cafarnao.

Dalla Galilea siamo quindi scesi con il pullman fino a Gerico, costeggiando il corso del Giordano. La città, che doveva essere la capitale provvisoria dello Stato di Palestina, giace in uno stato di abbandono agghiacciante. Miseria e disoccupazione sono all’ordine del giorno. La popolazione viveva in buona parte di turismo, ma negli ultimi anni, da queste parti, non è venuto più nessuno. Gli autisti dei pullman ci hanno condotto a un supermarket dove abbiamo acquistato frutta e articoli locali: il proprietario non finiva più di festeggiarci, poiché gli abbiamo procurato l’incasso che normalmente fa in un mese.

A Gerusalemme abbiamo dedicato i restanti sei giorni. Da qui siamo partiti per visitare alcune località della Giudea. Per giungere a Betlemme, così come a Gerico, abbiamo dovuto transitare attraverso i check-point israeliani – si tratta infatti di territori soggetti all’Autorità Palestinese. Ci si fa l’abitudine, ma non si prova una bella sensazione. A noi pellegrini è stato riservato un trattamento blando: l’autista e la guida venivano sottoposti a un breve interrogatorio e dovevano esibire i nostri passaporti, mentre un paio di militari armati (ragazzi ventenni o poco più) si accertavano che dentro il pullman non vi fossero infiltrati. Le automobili private erano invece costrette a un percorso differente, rimanendo incolonnate anche per ore nell’attesa della verifica dei permessi. E abbiamo visto molte persone a piedi rimandate indietro.

Il muro che gli Israeliani stanno costruendo suscita un’impressione terribile. Non difende i confini di Israele (il che potrebbe essere anche legittimo), ma si trova interamente dentro i Territori Palestinesi. È una cicatrice che taglia colline e paesi, strade e campi, separa le persone, le famiglie, le comunità.

A Betlemme abbiamo visitato la basilica della Natività (spoglia e bruttina, come tutte le chiese della Terrasanta) e il cosiddetto Campo dei Pastori. Qui abbiamo conosciuto padre Michel, un archeologo francescano che ha dissepolto le grotte dove alloggiavano i pastori (quelli del presepe, per intenderci), e ora sta tirando fuori del sottosuolo una chiesa bizantina del IV secolo. I Francescani stanno peraltro aiutando moltissimo le genti di Palestina, offrendo loro lavoro, ospitalità ed istruzione. La sera stessa siamo tornati per comprare qualche oggetto ricordo. La cittadina, fino a quel momento deserta, si è stretta praticamente intorno a noi: tutti cercavano di venderci qualcosa, per pochi euro, e noi, a tanta accorata insistenza, abbiamo ceduto volentieri.

Abbiamo quindi percorso le strade di Gerusalemme per quasi tre giorni consecutivi. La città vecchia, circondata dalle mura di Solimano, è un concentrato di meraviglie e stranezze. Per tremila anni qui si è costruito e distrutto: si è creata così una città a strati sovrapposti, tipo scatole cinesi. Anche in superficie persiste una ripartizione in quartieri, abitati da cristiani, armeni, ebrei, musulmani, che danno vita a un miscuglio curioso di etnie, lingue e stili architettonici. Tra le tante bellezze che ho visto, il Muro del Pianto (gli ebrei lo chiamano più correttamente Muro Occidentale), la Spianata delle Moschee (dove Sharon fece la sua passeggiata provocatoria), la Cittadella, la basilica del S. Sepolcro (spartita anch’essa tra cattolici, greci ortodossi e armeni che si odiano nemmeno tanto cordialmente), e numerose altre chiese.

Il panorama più incantevole di Gerusalemme si ha dal Monte degli Ulivi. Era il 31 dicembre, faceva piuttosto caldo, intorno ai 24 gradi, nel cielo non si vedeva una nuvola: io indossavo una camicia con le maniche arrotolate e non rimpiangevo certo l’inverno lasciato in Italia. Da queste parti, tuttavia, non appena cala il sole (il crepuscolo dura pochissimo, si fa subito notte), la temperatura si abbassa rapidamente e quindi occorre tenere una giacca pesante a portata di mano La sera di capodanno abbiamo visitato Getsemani e fatto meditazione nella basilica delle Nazioni, dove ho rischiato di addormentarmi per la stanchezza – d’altro canto, la sveglia suonava tutti i giorni alle sei. Poiché né gli ebrei né i musulmani festeggiano la ricorrenza, è stata una serata di silenzio e riflessione. La cosa non mi è per nulla dispiaciuta.

Il penultimo giorno, percorrendo il deserto di Giuda, ci siamo recati al sito archeologico di Qumran e alla rocca di Masada. Qualcuno ha fatto persino il bagno nel Mar Morto. Io mi sono limitato a una breve entrata in acqua, un po’ perché le condizioni del tempo erano stavolta sfavorevoli, un po’ perché sembra di immergersi nella liscivia (la sensazione è di stare a mollo nel detersivo). Nel pomeriggio è addirittura piovuto e ho avuto così modo di osservare il curioso fenomeno del deserto che fiorisce. In seguito, ci siamo recati sulle alture di Gerico, nei pressi di un monastero, dove siamo stati letteralmente circondati da bambini palestinesi che chiedevano l’elemosina. Avevano tutti tra i cinque e i dieci anni, gli occhi grandi e scuri, le mani tese senza pudore né vergogna. Uno spettacolo straziante, credimi. Su suggerimento delle guide, avevamo portato con noi biro, pennarelli, quaderni e altro materiale scolastico a loro necessario. Avresti dovuto vedere come se lo accaparravano, riempiendosi le tasche e i cestini che avevano con sé. Io ho pronunciato quelle poche parole di arabo che conosco e alcuni si sono avvicinati incuriositi dalla mia videocamera. Quando siamo ripartiti, mentre i bambini ci salutavano gridando per la contentezza, avevamo le lacrime agli occhi.

So di non essere riuscito a comunicare completamente lo spirito di questo viaggio fuori dell’ordinario. Perché non si è trattato di semplice turismo, ma di un’esperienza di vita che lascerà segni profondi nel mio animo. Ho capito che la presenza di noi ospiti stranieri costituisce per la gente palestinese un segnale forte di speranza. Ho conosciuto le ragioni degli israeliani, la cui parte moderata desidera fortemente la pace con il mondo arabo. Occorre seguire alcune norme di comportamento, perché ci si trova a contatto con culture molto diverse dalla nostra, ed essere un minimo prudenti (soprattutto nel suq di Gerusalemme, sebbene le zone a rischio siano parecchie). Ma i disagi cui si è andati incontro hanno reso questa esperienza ancora più piena e vera.

Un abbraccio.

P.

   

Sabahalher

 


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