Non che non ci abbia provato a non far caso, ma in questi giorni mi sembra, e forse sbaglio, di sentire una patina di inutilità su tutto quello che facciamo e diciamo. Per chi vuol chiamarsi fuori, su tutto quello che faccio e dico. Su quello che commento e penso. Mi fa venire in mente un brano dei Fratelli Karamazov che dice così,
Voglio girare l’Europa, Alëša, una volta partito di qui; eppure mi rendo conto di recarmi soltanto in un cimitero, nel più prezioso dei cimiteri, ecco cos’è. Valorosi sono i defunti ivi sepolti, ogni pietra sopra di essi parla di una vita così fervida in passato, di una fede così appassionata nelle proprie azioni, , nella propria verità, nella prorpia lotta e nella propria scienza, che io, lo so già, cadrò per terra e bacerò quelle pietre e piangerò su di esse – sebbene, in cuor mio, io sia convinto che quello, da molto tempo ormai, non è altro che un cimitero, niente di più.
E l’indicazione geografica è sostituibile a piacere, constestualizzata nel tempo, contestualizzata nel contesto, contestualizzata un po’ in quel che vi pare.
La stazione dei treni di Oderzo è un edificio con le porte e finestre murate, e per terra è pieno di sabbia che stona coi campi intorno. Dice che è perché vicino c’è il mare. Come se la sabbia, qua, fosse una cosa normale.