L’Italia è uno strano paese. La sinistra politica che, almeno a parole, è stata a lungo rivoluzionaria, ha visto spesso nella legge e nella magistratura un’imbrigliatura che limitava non solo la rivoluzione ma anche la protesta e l’avanzamento sociale, salvo poi accorgersi che le forze conservatrici, che a parole si dicevano legge e ordine, tramavano nell’ombra con ogni sorta di poteri per destabilizzare l’ordine costituzionale, e vedersi costretta a chiedere l’intervento della legge e della magistratura per ristabilire la legalità. Eppure né la sinistra rivoluzionaria (che è diventata garantista prima per tattica e poi per innaturale convinzione) né la sinistra riformista-giustizialista sono riuscite a trovare la strategia per combattere i mali secolari che affliggono questo paese. La criminalità organizzata, il capitalismo marcio, la corruzione endemica della politica e della burocrazia, il clero temporalizzato, la massoneria e i servizi deviati insieme agli alleati internazionali hanno formato un blocco talmente potente ed esteso che né la pressione popolare dei movimenti antagonisti né l’azione della magistratura riescono a disgregare. È da questa consapevolezza che nasce una terza posizione, a cui ha dato forma Pasolini quando ha dichiarato di sapere quali fossero i colpevoli del malaffare, degli intrighi e delle stragi ma di non avere le prove, necessarie per una condanna dalla magistratura.
Pasolini aveva colto perfettamente la necessità di una strategia comunicativa e politica che si sganciasse sia dall’ingenua pretesa di vincere solo nelle agitazioni di piazza sia dalla fideistica attesa di ottenere giustizia solo nei tribunali. Serviva una posizione più potente, più efficace, che sfidasse l’avversario su un terreno che non fosse già stato inquinato, e lo individuò nell’analisi intellettuale della realtà che utilizzi i mezzi di espressione quasi come casematte gramsciane. Un’analisi che metta in gioco la freddezza di Occam e lo svelamento marxista, la ricerca minuziosa dell’investigatore e lo sguardo aperto e combattivo dell’intellettuale militante. Questo è un metodo potentissimo che permette di cogliere e denunciare verità che altrimenti resterebbero sepolte per sempre, ma d’altro canto è un’arma che, poiché prescinde dalle prove giudiziarie, si pone fuori dalla civiltà giuridica liberale.
Qualcuno lo chiama metodo del sospetto, alcuni lo affermano in quanto liberali, altri in quanto colpevoli e conniventi. Sta di fatto che esso è necessario e per molti anni l’intellettualità della sinistra militante l’ha utilizzato, fornendo strumenti tanto ai garantisti quanto ai giustizialisti. E se Pasolini gli ha dato espressione nel suo celebre articolo sul Corsera del 1974 (oltre che una dimostrazione nel capitolo Lampi sull’Eni nel suo romanzo Petrolio), esempi cinematografici importanti di questo approccio se ne trovano anche in anni antecedenti. Basti pensare al film 12 Dicembre (girato da Pasolini con Lotta Continua, uscito nel 1972) o, ancor di più, a quello di Elio Petri e Nelo Risi: Tre ipotesi sulla morte di Pinelli (1970). A quest’ultimo film la Guzzanti si ispira esplicitamente rubandogli non solo lo stile della messa in scena metacinematografica, ma anche la frase introduttiva: “siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo…” che dichiara l’impegno militante degli autori.
L’esito del film va necessariamente analizzato separando l’aspetto prettamente cinematografico dal contenuto politico. Sul piano della messa in scena l’ibridazione dei registri che mescola il comico, il satirico e il drammatico, e passando per la forma cabarettistica produce un effetto decisamente straniante che senza nulla aggiungere al film rischia di togliergli la credibilità che faticosamente cerca di guadagnare nelle parti drammatiche e documentaristiche. Se si deve esprimere forte perplessità sulla prova registica della Guzzanti, occorre, invece, prestare molta attenzione alla sua operazione politica perché mette in rilievo una visione critica della realtà che ha molte più probabilità di sfiorare e raggiungere il vero di quante non ne abbia la ricostruzione che sta operando la magistratura. Sul tema della trattativa stato-mafia sono calate le pesanti cortine fumogene che il potere utilizza in questi casi per impedire l’accertamento della verità. Le prove vengono distrutte, chi indaga viene ostacolato, chi fa domande e solleva dubbi viene emarginato. Questo film delinea un quadro credibile di connessioni e solleva ragionevoli dubbi che permettono di raggiungere delle convinzioni che forse in un lontano futuro saranno pacificamente acquisite dalla storia, ma è indispensabile che il cinema possa anticiparle ora, nella speranza che anche la giustizia riesca a fare il suo giusto corso, prima o poi.
Pasquale D’Aiello