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La questione romana, riesplosa nei giorni scorsi, è solo la spia di una malattia più grave: il vuoto politico amministrativo della gestione capitolina (quella in carica ormai da un biennio e quella precedente) e la debolezza delle classi dirigenti locali. I sintomi sono la città in stato di abbandono, l’incuria per ogni servizio essenziale (a partire dalla manutenzione delle strade, delle piazze, del verde pubblico), l’incapacità gestionale, l’assenza di rispetto per l’interesse collettivo, l’abuso delle risorse pubbliche, la carenza di guida e di controlli, cui conseguono disamore dei cittadini per Roma e scoraggiamento delle persone serie ed oneste che lavorano nelle amministrazioni locali. Ma non basta sciogliere questa amministrazione e tornare alle urne, perché la questione riguarda l’intera nazione.
I segnali di corruzione che stanno emergendo mostrano la straordinaria galassia che sta alla base del malaffare (enti pubblici di vario genere, società, consorzi, fondazioni, municipi, cooperative, appaltatori di pubblici servizi), le reti sulle quali lo sfruttamento privato di risorse pubbliche corre (dominate dalla indistinzione tra amministrazione e politica locale, clan privati e funzionari pubblici), il coinvolgimento delle burocrazie nella corruzione. Questo accade per scarsa capacità di leadership politico-gestionale e assenza di una solida amministrazione capitolina: secondo molti osservatori, è una finzione giuridica che a Roma vi siano un Comune e un sindaco, tanto grande è l’incuria per gli interessi della collettività romana. Ora le indagini della Procura faranno il loro corso. Ma non ci si può illudere che esse possano risolvere il problema che sta alla base della questione, le cui cause risalgono alla pochezza delle amministrazioni, allo strapotere del consiglio comunale e alle sue troppe interferenze con la gestione amministrativa e con l’uso delle risorse finanziarie, ai grandi e piccoli abusi (questi ultimi peggiori dei primi, perché penetrano nella società, abituano anche i cittadini a corrompere il vigile urbano perché non multi le auto in sosta abusiva dinanzi a un negozio), a politici-affaristi, a burocrati scelti per l’appartenenza o la fedeltà politica e non per il loro merito, a mediatori e mestieranti, al sottobosco della cosiddetta politica locale, alla criminalità. Questo sistema corrotto richiede un’opera risanatrice più grande, richiede che lo Stato si accolli temporaneamente questo compito e ridia alla nazione una capitale non infetta.
La questione romana è questione nazionale, come ha ben capito il partito di maggioranza quando ha nominato il suo presidente commissario straordinario della federazione di Roma. Ora si completi l’opera. La nazione dia un segno della sua presenza. Lo Stato assuma il compito temporaneo di ridare a Roma una amministrazione. Gli strumenti non mancano. Si può commissariare il Comune. Oppure approvare una legge speciale, temporanea, che dia un nuovo assetto a Roma, per la durata della cura. Nell’amministrazione dello Stato, nel ministero dell’Interno e in quello dell’Economia e della finanza, e persino nelle strutture capitoline, non mancano le persone adatte a liquidare superfetazioni amministrative, a ridare una struttura, a ridisegnare procedure, in modo che Roma diventi una capitale di cui l’Italia non si debba vergognare.
Annamaria Cancellieri ha scritto nel suo libro di memorie che, nominata commissario del Comune di Bologna, si dedicò subito a due compiti: ascoltare gli amministrati, e curare l’amministrazione, girando persino nelle strade e segnalando le buche. I romani e i tanti italiani e stranieri che visitano Roma sanno che di questo c’è bisogno nella Capitale.Sabino Cassese - articolo pubblicato qui