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Non sono del tutto d’accordo con chi afferma che il soggetto che dà il titolo al film, il GRA (il Grande Raccordo Anulare di Roma) sia praticamente assente dal film, una specie di pretesto per raccontare delle storie.
Perché le storie che Gianfranco Rosi ci racconta in questo film non sarebbero concepibili al di fuori di quel contesto urbano, e perché c’è un continuo rimando metaforico tra il GRA e l’impianto narrativo del film.
Il GRA è un confine, una linea tracciata a segnare il passaggio tra la città e qualcosa che certamente non è ancora campagna, ma non è più città. Allo stesso modo, le storie che riempiono di umanità questo luogo (il ragazzo che lavora sull’ambulanza, il pescatore di anguille, il signore che monitora le palme attaccate dal punteruolo rosso, le prostitute e i trans che vivono in un camper, il gruppo che si occupa delle salme del cimitero di Prima Porta, il padre e la figlia che vivono in un appartamento piccolissimo di un complesso edilizio popolare, i nobili decaduti e un po’ coatti che vivono in una specie di magione kitsch, i sudamericani che si ritrovano per ballare la salsa) sono storie di confine, di margine, ordinarie e straordinarie al contempo.
Il GRA viene fotografato e descritto in tutto la sua bruttezza e squallore: serpentoni senza fine di automobili, cementificazione selvaggia, anonimità dei luoghi che rende difficile anche ai romani l’identificazione esatta dei punti che il regista mostra allo spettatore. Al contempo però Rosi ci dimostra che un tramonto può essere bello ed emozionante anche sul raccordo, che la neve può dare un’atmosfera magica anche a un’autostrada senza anima, che anche se il Cupolone è lontano lo spirito di questa città è vivo e presente anche ai suoi confini. Così, i personaggi di cui il regista ci mostra le vite per molti versi squallide e/o degradanti sono capaci di una tenerezza emozionante (penso per esempio alla sequenza del ragazzo dell’ambulanza che va a trovare sua madre), portano con sé una poesia che nasce dalla bellezza della loro semplicità.
Il GRA è una realtà di per se stessa ricorsiva, in cui tutto si tiene e tutto ritorna; così il film di Rosi intreccia storie apparentemente prive di connessione l’una con l’altra, ma in realtà frammenti di quel ciclo continuo della vita e della morte che è l’essenza della nostra umanità.
Voto: 3,5/5
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