Una figura, quella del polacco Tadeusz Kantor, nato nel 1915, scomparso nel 1990, quando il Novecento era ancora davvero di là da terminare, a tratti piuttosto difficile da afferrare e decifrare in ogni sua declinazione artistica.
Il teatro della morte accompagna il lettore nella straordinaria parabola di Kantor, quella ricerca "della condizione / sconosciuta [...] accessibile / soltanto attraverso la porta / che si chiama morte".
Si tratta di un viaggio importante, dalle prime esperienze tra il 1942 e il 1944, con riferimenti imprescindibili negli "imballaggi", arrivando agli happening, e da lì ripartendo, col "teatro zero", e annessi e connessi, per giungere al tipo di teorizzazione teatrale che dà il titolo al volume: un teatro in cui, dalle tanto agognate super-marionette di Craig, vengono fuori "sempre più numerosi, i SOSIA, i MANICHINI, gli AUTOMI, gli OMUNCOLI".
In questo senso, La classe morta si pone come risultato più compiuto, rifugio, magazzino in cui Kantor trova senza sosta "comandamenti quasi divini / avvertimenti eretici".
Ecco perché segnalare Il teatro della morte, un volume che unisce in sé suggestione, informazione, argomentazione, e rende conto di Kantor in quel modo, tutto particolare, aneddotico senza esserlo, interpretativo, sì, ma sempre a partire dalla riflessione sull'atto della creazione artistica.