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Saggio di gaetano barbella

Da Teoderica
ESPERO E LUCIFERO
Giuditta e Oloferne I e II di Gustav Klimt

Di Gaetano Barbella SAGGIO DI GAETANO BARBELLA
"Lo bel pianeta che ad amar conforta,
Faceva tutto rider l'oriente,
Velando i Pesci ch'erano in sua scorta,"

(Venere: Dante, purgatorio I, 19-21)

Aby Warburg, la guida
Nessun critico d'arte penserebbe che Gustav Klimt abbia predisposto un telaio strutturale in anteprima per poi dipingere le due opere, Giuditta e Oloferne I e II, allo stesso modo dei pittori del Rinascimento. Tanto meno perciò concepire nel dettaglio il supposto telaio - mettiamo - all'insegna della sezione aurea e quant'altro di geometrico specifico.
Tuttavia, per una insospettata "coincidenza", davvero "significativa", la geometria delle sue due opere anzidette, da me concepita e tema di questo scritto, è forse tale da farla rientrare nel noto principio della "sincronicità" concepita da Alfred Gustav Jung, guarda altro caso, che vi si imparenta, giusto due Gustav allo specchio.
Ma è vero pure che il due si ripete, appunto con le due opere d'arte in questione, anche queste, che si guardano allo specchio come due poli in opposizione. Poli che si riscontrano nella critica d'arte di due diverse versioni del medesimo episodio biblico, distanziate dal 1901 al 1909 allorché furono concepite da Gustav Klimt.
Ma il due non limita a questo perché altri se ne prospettano fino a permettere di estrapolare due interessanti figure geometriche dalla seconda Giuditta, una delle quali, naturalmente riguarda la prima Giuditta.
Molto di base della critica d'arte, utile in relazione al mio lavoro geometrico, ho attinto dal testo di un pregevole scritto di Elisa Danesin, "Ricerche sulle Giuditta di Klimt. Uno sguardo warburghiano. " (1)È Aby Warburg, la guida cui si avvale l'autrice, che condivido, per sviluppare il suo lavoro sulle due Giuditte di Klimt.
Ne parla, appunto, nel primo brano del menzionato suo scritto, «1. Aby Warburg, la guida»: «La guida più importante, colui il quale ha tracciato il sentiero del nostro percorso è Aby Warburg, l'intellettuale della storia dell'arte che per primo "a saisi la capaciti des images à rompre la surface de la pensée rationnelle et à court-circuiter le temps linéaire"(2) , "ha colto la capacità dell'immagine di rompere la superficie del pensiero razionale e di cortocircuitare il tempo lineare": ha affondato le proprie radici filosofiche in Nietzsche per arrivare a cogliere l'importanza degli studi rivoluzionari di Freud. Una figura eccezionale che ha cercato e ottenuto un rapporto esclusivo con le immagini. Ha creato un legame intenso tra studioso e forme, dove l'opera d'arte è concepita come sintomo di una memoria collettiva, come manifestazione di qualcosa di sotterraneo e talvolta patologico, e dove l'immagine stessa si muove nella spirale del tempo inattuale, slegata da concetti come eredità, influenze, imitazioni. Dove storia e arte, infine, non sono la rigida gerarchizzazione di periodi, stili e correnti che si alternano, ma dove il tempo si rivela impuro e scandito da ritorni e fantasmi di presenze molto antiche.».
È nei punti più piccoli che risiedono le forze più grandi SAGGIO DI GAETANO BARBELLA
Illustrazione 1: Gustav Klimt - Giuditta e Oloferne II.
La geometria “casuale” del triangolo rettangolo.

«È nei punti più piccoli che risiedono le forze più grandi» è un aforisma di Herman Userer che ho tratto dal citato testo di Elisa Danesin che costituirà la bibbia durante il mio percorso geometrico annunciato.
Nel caso della Giuditta dell'illustr. 1, è inevitabile - mettiamo per Oloferne nell'impatto con la prorompente Giuditta - indirizzare il suo occhio, preso dal desiderio carnale, nei punti strategici che gli si protendevano quasi aggredendolo e tramortirlo, i due seni e in particolare il capezzolo destro. I punti B e C sono i più piccoli di tutta la figura di Giuditta che si sviluppa in altezza, ma sono effettivamente i suoi più grandi punti di forza. Non manca, però, di avere qualche buona probabilità di essere notato, il neo sulla tempia sinistra, cosa che potrebbe indurre Oloferne ad essere prudente ed evitare di essere travolto dai sensi e dalla crapula del vino. Ma non dovette servire tanto questo punto di forza che nel grafico ho indicato con A.
Tuttavia, se fosse concepibile traslare la cosa, dovette servire all'autore del racconto biblico, per farla assurgere ad eroina del popolo ebraico. Ma nella mente Klimtiana, che non era religioso, furono ben altri gli intenti del suo apprestarsi a dipingere Giuditta che erano tutti in favore della donna della sua epoca disposta a liberarsi dal potere della società governata da uomini. Ed è in questa direzione che si agita, in Giuditta, la mannaia-spada onde sia reciso il capo di Oloferne, una chiara evirazione del maschio.
Traggo dal brano dello scritto di Elisa Danesin, «3.2 II mito: la cacciatrice di teste», la seguente parte che puntualizza l'intento di Klimt nel dipingere Giuditta e Oloferne I: «[...] Il contesto dell'opera e in generale della vita del pittore è importante: agli inizi del Novecento Vienna è investita da un vortice di forze contrastanti tra le quali ha grande rilevanza la battaglia a favore di una nuova donna libera ed emancipata. In tutta Europa infatti si anela ad una donna che possa prendere parte agli sport, alla danza, che possa smettere le stecche e i colletti rigidi: mosse dall'esigenza di libertà, le donne iniziano così in quel periodo ad indossare i pantaloni e a fumare. (3)
Ed è in questo senso la rappresentazione pittorica della prima Giuditta eseguita nel 1901, rifulsa di oro, che non esclude l'esaltazione biblica dell'eroina del popolo ebraico in Giuditta.
Ecco che tutto ciò, tradotto negli elementi geometrici dell'illustr 1, trova appoggio nella riflessione in quest'altro brano del testo di Elisa Danesin, «2 Tra tempo e forme: i fantasmi e i sintomi»: «Secondo Aby Warburg la produzione artistica è la risultante di due movimenti oscillanti: ethos e pathos.
Per una completa e autentica comprensione dell'opera d'arte, non è possibile quindi esaminare i due movimenti separatamente: l'ethos, l'elemento tra i due legato al sapere e alla funzione del raziocinio, è tanto importante e insostituibile quanto l'elemento patetico, legato più ad un ambito inconscio, pulsionale.».
Si è capito che l'ethos walburghiano fa capo, proprio a quel neo indicato con A, mentre il pathos riguarda i due capezzoli indicati con B e C.
A questo punto il triangolo ABC dell'illustr. 1 è solo il presupposto per sviluppare la geometria che seguirà e che si conclude per mettere in luce un insospettato pentagramma eseguito in due versioni. La prima versione è concepita secondo il punto di vista A e la seconda secondo B. Si noterà che ho preferito tracciare il triangolo, che è rettangolo, con il cateto AD tangente al punto C, il capezzolo visto di lato, che non è molto influente come l'altro, come del resto è anche vista tutta la figura di Giuditta.
Geometria del cerchio inscritto e circoscritto del triangolo rettangolo ABD SAGGIO DI GAETANO BARBELLA
Illustrazione 2: Gustav Klimt - Giuditta e Oloferne II.
Geometria del cerchio inscritto e circoscritto al Triangolo rettangolo ABD.
In anteprima si tracciano gli assi cartesiani del punti A, B, C, D e il centro O che divide l'ipotenusa AB in due parti uguali. O è anche il centro del cerchio circoscritto del triangolo in questione. In seguito, una volta rintracciato anche il centro O', del cerchio inscritto al triangolo rettangolo, si tracciano i relativi assi cartesiani. Infine si traccia il terzo cerchio di raggio OO' che servirà per concepire la geometria del pentagramma che segue.
Geometria del pentagramma del "pathos" waburghiano SAGGIO DI GAETANO BARBELLA
Illustrazione 3: Gustav Klimt - Giuditta e Oloferne II.
Geometria del pentagramma del “pathos” waburghiano,
eseguito secondo il punto di vista B e la direttrice EF.
Si traccia la direttrice EF di riferimento della geometria in atto in questa fase. I due punti O e O', i centri del cerchi inscritto e circoscritto del triangolo rettangolo ABD, appartengono alla direttrice EF. Poi si traccia il segmento BH tangente al cerchio di raggio OO' che sarà tracciato in precedenza. A questo punto si riscontra che l'angolo AOH ha come bisettrice la semi-direttrice OE appena eseguita e la sua misura è 72° sessagesimali, giusto 1/5 dell'angolo giro del cerchio circoscritto suddetto. Facile dedurre che questo angolo porta alla concezione del pentagramma BFGAHI, proprio la figura geometrica annunciata in precedenza. Si noterà subito che la punta F della direttrice EF è rivolta in basso e questo, in anteprima porta alla consapevolezza per via esoterica (4) della stella del pathos waburghiano.
Intanto mi preme confrontarmi con il brano in proposito dello scritto di Elisa Danesin sopra citato che è questo:
«4.6 La terza clausola: il dettaglio come elemento del sopravvivente».
«Giuditta come cacciatrice di teste, sfuggente, che porta con sé la testa di Oloferne e ci perturba mettendo in primo piano quelle sue mani-artigli-isteriche, è pericolosamente vicina alla figura che conclude l'euripidea Le Baccanti: Agave. Secondo la tragedia, dopo aver dilaniato il figlio Penteo in preda al menadismo la donna torna trionfante a Tebe ancora in veste di cacciatrice, portando con sé come un trofeo la testa del figlio infilata nel tirso, credendo fosse la testa di un leone. Fiera della sua forza, così si rivolge ai Tebani:
"Voi che abitate la rocca di Tebe dalle belle torri, correte a vedere questa preda, che abbiamo preso noi, figlie di Cadmo, e non con giavellotti di Tessaglia dalle cinghie di cuoio, non con le reti, ma solo con la forza di queste mani candide: e allora, perché vantarsi e procurarsi invano strumenti di guerra da chi fabbrica armi? Noi solo con queste mani abbiamo catturato l'animale e le sue membra le abbiamo fatte a pezzi con queste stesse mani. " (5)
Cadmo suo padre, inorridito dalla ferocia e dall'inconsapevolezza che guida Agave, sfoga il suo dolore per la perdita dell'amato nipote:
"Opena infinita! Io non posso guardare / lo scempio compiuto da queste vostre mani disgraziate". [...](6) Nell'ottica del Nachleben (7)le mani di Giuditta II sono pervase da una forza antica: un pathos tale che riecheggia da Euripide alla tela di Klimt e riconferma la loro connotazione mortifera fino a renderle delle formule di pathos.»
Non resta altro che intravedere il pentagramma dorato, giusto in felice sintonia dell'opera pittorica klimtiana, «Giuditta e Oloferne I», rifulsa di oro. 
Geometria del pentagramma dell'“ethos” waburghiano
 
SAGGIO DI GAETANO BARBELLA
Illustrazione 4: Gustav Klimt - Giuditta e Oloferne I.
Geometria del pentagramma dell' “ethos” waburghiano,
eseguito secondo il punto di vista A e la direttrice EF.
Le operazioni grafiche contenute nell'illustr. 4 sono analoghe a quelle eseguite nell'illustr. 3, perciò non occorre che io ne illustri il percorso seguito. Il pentagramma è naturalmente simmetrico, secondo la direttrice EF al pentagramma disegnato in viola dell'illustr. 3 anzidetta. La punta E è rivolta in alto e questo ci assicura sull'auricità del pentagramma.
Geometria del pentagramma delr'ethos" waburghiano
È il brano del testo di Elisa Danesin, «3. Giuditta I e Giuditta II: due donne diverse», che meglio descrive la differenza dei miei grafici, quello fulgente dorato e l'altro violaceo funesto, tradotte in parole.
«È sufficiente guardare le due Giuditta klimtiane una accanto all'altra per notare che sono molto differenti: potrebbero sembrare dipinte da due artisti diversi. Nella prima versione l'oro è una presenza rilevante: il suo uso è riservato agli elementi di decoro ossia lo sfondo, le vesti e il collare, i quali nell'economia del quadro occupano quasi metà della tela. L'incarnato di Giuditta è roseo, l'atteggiamento è diretto e sensuale. Nella seconda versione di Giuditta invece, sembra raffigurata un'altra donna: il motivo decorativo dorato è inesistente, la veste e lo sfondo sono connotati da tinte forti e contrastanti. L'incarnato è pallido, quasi esangue, l'atteggiamento è di fuga e ferino. Completamente diverso si evince sia anche il modo di vivere l'atto che entrambe hanno appena compiuto: da una parte c'è fierezza, espressione di sfida, un'ostentata sensualità che nasconde la minaccia di evirazione; dall'altra c'è una sfuggente - e forse inconsapevole - ferinità. [...]»
Brescia, 12 novembre 2012
 
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1 Tesi di laurea 2007-2008 della laureanda Elisa Danesin - Ricerche sulle Giuditta di Klimt. Uno sguardo warburghiano - Esercizi Filosofici 5, 2010, pp. 31-52 ISSN 1970-0164 - link: http://www.univ.trieste.it/~eserfilo/art510/danesin510
2 Wood, C.S., «Londres-New York- Los Angeles: Les errances posthumes d’Aby Warburg», in Matthias Waschek (ed.), Relire Warburg, Musée du Louvre, Paris 2007, p. 6. 3 Gombrich, E.H., Aby Warburg. An intellectual Biography, The Warburg Institute, University of London, London 1970; trad. Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Feltrinelli, Milano 2003, p. 102. 4 La Stella a 5 punte, ovvero il Pentagramma, noto nella Massoneria col nome di Pentalfa, per gli antichi Egizi raffigurava il Sole, Horus, nato da Iside e Osiride. Di seguito fu usata da Pitagora per dimostrare il segmento aureo. Il rettangolo, avente i lati che rispettano la proporzione aurea, è detto rettangolo aureo ed esso si può originare tantissime volte nel cosiddetto Pentalfa. La Stella a 5 punte è anche chiamata Stella dei Magi, in ossequio al segno di potenza e di luce che illumina il cammino spirituale; per questo motivo viene messa sul presepio e sull'albero di Natale. Il Pentalfa con una punta protesa verso l'alto che inscrive una figura di «uomo» ha una valenza luminosa e benefica. Al contrario, rovesciato diventa il Pentacolo con inscritta una «testa di Capro» di valenza malefica, in opposizione alla Luce, emblema degli istinti e dell'animalità.
Il capovolgimento non da valore negativo solo a questo simbolo, ma ad ogni altra simbologia. Il Numero 9 9 9, ad esempio, rappresenta la spiritualità e la perfetta iniziazione. Capovolto diventa il Numero 666 dal significato demoniaco e contro-iniziatico. Lo stesso vale per la croce latina, che capovolta da simbolo cristico diventa una rappresentazione satanica.
http://www.esonet.it/News-file-article-sid-763.html
5 Euripide. Le Baccanti, cit., vv. 1205-1210 6 Euripide. Le Baccanti, cit., v 1245 7 Col concetto di Nachleben, ovvero “sopravvivenza”, Warburg mostrava come nel Rinascimento fiorentino fossero “ritornate” delle figure e formule (le pathosformeln) appartenute alla classicità greca in primis, e che si sono riproposte nel corso della storia in maniera non prevedibile. Rintracciare e ricostruire la storia di un’immagine significa superare l’abituale concezione crono-logica del tempo, inteso come successione di momenti. http://guide.supereva.it/filosofia/interventi/2009/07/la-teoria-dellimmagine-in-warburg


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