January 21st, 22:01
In questo momento Torre B è immersa in un relativo silenzio. Dico relativo perché dagli altri piani, sopra e sotto di noi, si sentono, seppur in maniera flebilissima, i Gialli che vagabondano in cerca di altre prede. Grugniti, mugolii, peti e rutti involontari provocati dalla gran mangiata dei giorni scorsi.
Se ci sono altri superstiti, sopra o sotto di noi, davvero non lo so. L'unica cosa certa è che gli elicotteri dei SAS se la sono battuta circa quindici minuti dopo l'outbreak di contagiati nel grattacielo. Li abbiamo visti allontanarsi in cielo, per nulla desiderosi di restare a combattere. Forse i commando inglesi hanno portato con sé qualcuno dell'élite, oltre ovviamente al professor Boile, ma non posso esserne certo.
È il terzo giorno che siamo chiusi all'ottavo piano. Non abbiamo nemmeno provato a uscire. Qui gli appartamenti sono quasi tutti vuoti e non arredati. Solo uno, miracolosamente, era pronto a essere abitato. In esso abbiamo trovato un armadietto pieno di scatolette di tonno, fagioli e carne in conserva. Insieme alle sei bottiglie di acqua naturale nascoste nel ripostiglio esse costituiscono le nostre scarne riserve di viveri. Il pesante comò in legno pregiato della camera da letto è stato invece utilizzato per bloccare ulteriormente la porta che dà sul pianerottolo.
C'era anche questo miniportatile Toshiba, ultrapiatto, moderno. Ultimo modello datato marzo 2013. Non a caso gli appartamenti di Torre B erano stati pensati per inquilini ricchi, in grado di pagarsi tutti gli optional del caso. Beh, è dal Toshiba che vi scrivo, perché tutto il resto è andato perso, compreso il mio vecchio netbook.
Il nostro stato d'animo è pessimo. Cristina tace e aspetta. Se ha dei sensi di colpa riesce a nasconderli, ma nemmeno poi troppo. Credo che sia al limite del crollo. Valenziano passa gran parte del tempo dormendo. Nel suo sguardo si legge tutto l'odio che ci riserva per quello che abbiamo combinato.
Harmke passeggia avanti e indietro in corridoio, con lo Steyr imbracciato. Non so se si è pentito di aver tradito i suoi compagni. Sta di certo che, tra di noi, pare quello meno stravolto dal rimorso. Ha solo voglia di uscire da qui. Se poi, una volta fuori, si vendicherà con noi, questo non lo immagino proprio.
E io? Cerco di non pensare al casino che abbiamo combinato. Ma non ci riesco. Mi sento come un terrorista, un criminale. Eppure sono contento di essere vivo. Sì, cazzo, sono contento.
Tutto questo macello solo perché i bastardi dell'élite volevano venderci agli inglesi. Altro che disinteressata e improvvisa voglia di aiutare gli altri superstiti di Milano. Cristina, sapendolo, voleva punirli nel modo più tremendo che le è venuto in mente.
Ecco cos'è il Protocollo Pelican, direttiva segreta del Progetto Rondine, di cui vi accennavo nel post precedente: una tratta di schiavi. Cristina ne è venuta a conoscenza diverse settimane fa, grazie a una quinta colonna dell'intelligence inglese. Una gola profonda desiderosa di liberarsi la coscienza da un peso. Vi riassumo la cosa in breve.
Nel febbraio del 2015 un team scientifico inglese ha elaborato una versione mutagena del prione di Lee-Chang. In realtà credo che studiassero una cura al morbo, ma alla fine è saltata fuori solo questa robaccia immonda. In pratica il nuovo prione, che Cristina chiama Samas, causa ugualmente il morbo di Lee-Chang, ma conserva le capacità intellettive dei contagiati. Purché essi nutrano il prione. Con sangue umano, ovviamente. Insomma, il Samas crea una specie di vampiri gialli che, finché seguono una dieta emotofaga, sono in grado di pensare e vivere normalmente. Godendo tra l'altro del potenziamento immunitario che il prione garantisce al corpo-ospite.
Ciliegina sulla torta, qualcuno del Mi5 e del Mi6 si è fatto inoculare volontariamente il Samas, con l'idea di creare una nuova razza superiore o qualcosa del genere. O forse solo come via di fuga dalla pandemia. Per la serie: “prendiamo un forte raffreddore piuttosto che l'influenza”, fatte le dovute proporzioni, ovviamente.
Il governo Cameron, al posto di fare piazza pulita dei nuovi contagiati, li ha protetti e nascosti, valutando nel mentre gli effetti a lungo termine del prione mutageno. Anzi, ha fatto di più, applicando al già esistente Progetto Rondine l'infame Protocollo Pelican. Protocollo che prevede una sola cosa: la ricerca di nutrimento per i Gialli senzienti. Per non destare sospetti a chi, nel Governo e nelle forze armate, ignora l'esistenza del Samas, questo cibo (umano) viene cercato fuori dal Regno Unito. Ci sono squadre di SAS addestrate appositamente per l'infame caccia.
(La raffigurazione del Dio sumero Samas, rappresentato da un sole giallo, da cui prende il nome la sperimentazione inglese sul Lee-Chang)
Quattro giorni fa, il 17 gennaio, il Presidente *** ci è venuto a trovare al settimo piano, quello della quarantena, annunciandoci la “grande sorpresa”: una spedizione si soccorso britannica sarebbe arrivata a breve per portare alcuni di noi nel Regno Unito. Al sicuro. Con grande generosità, i membri dell'élite avrebbero dato a noi la precedenza di espatrio, riservandosi di raggiungerci in un secondo tempo. Mentre tutti esultavano io e la Riccione ci siamo guardati in faccia basiti. I nostri peggiori timori trovavano la prima, clamorosa conferma. Tra l'altro quei bastardi non avevano nemmeno il coraggio di esporsi in prima persona per scegliere chi doveva finire nelle dispense dei “vampiri gialli”.
Il sospetto che l'élite si fosse accordata con gli inglesi per una compravendita di esseri umani perseguitava Cristina da settimane. La “gola profonda” del Mi6 con cui era in contatto via e-mail non aveva prove in merito (o forse non voleva darle alla reporter), tuttavia ogni indizio faceva propendere per l'ipotesi peggiore. Ossia un'applicazione del Protocollo Pelican durante la missione dei SAS a Milano. L'improvviso appello radiofonico del Presidente *** è stata la prima conferma ai sospetti di Cristina. Sospetti che mi ha comunicato per e-mail, dopo aver letto il mio post sul Progetto Rondine e su Gandalf, pregandomi però di aspettare a parlarne sul blog.
Nei giorni scorsi la mia amica si è lavorata Lo Monaco, l'ex primario della Clinica *** che ha fin da subito mostrato un interesse per lei. Il fatto che fossimo in quarantena non le ha impedito di raggiungerlo ai piani alti. Del resto è l'élite che decideva le regole a Torre B, quindi poteva “adeguarle” a piacere. Insomma, per farla breve Lo Monaco, totalmente cotto di Cristina, le ha rivelato che sì, i SAS che sarebbero arrivati a breve per portare alcuni di noi in patria non avevano buone intenzioni. Senza andare troppo nel dettaglio, le ha chiesto di rimanere lì con lui. In futuro il governo britannico avrebbe mandato altri soldati per portare i membri dell'élite in salvo, in una struttura esclusiva nelle Isole Orcadi. Una nuova vita, lontana dai Gialli e dai razziatori, tutto questo in cambio di un pugno di vite umane.
I soldati inglesi sono infine arrivati, puntuali come ci si aspetta dai sudditi di Sua Maestà: all'alba del 19 gennaio due grossi elicotteri AW-101 trasporto truppe si sono posati rispettivamente su Torre A e Torre B (la nostra). I commando atterrati sul grattacielo abbandonato hanno subito predisposto una sorta di mini-funivia tra i due edifici e, in meno di un quarto d'ora, il plotone riunito si è presentato all'élite e ai suoi cani da guardia.
Da noi sono arrivati un'ora dopo, accompagnati dal Presidente, dal signor M. e dal capitano Casiraghi, tirato in volto e teso come una corda di violino. Il comandante dei SAS era un tizio di colore, tal capitano Cyrus Yorke. Ci ha squadrati, salutati senza particolare trasporto, osservandoci come se fossimo quarti di bue in esposizione. O forse la mia impressione era condizionata dai retroscena che conoscevo.
Il Presidente ci ha presentato i nostri “salvatori”, comunicandoci che sarebbero ripartiti l'indomani, portando con loro venti di noi. « Scegliete voi i fortunati », ci ha detto quel bastardo, sorridendo da esperto affabulatore quale è. « Comunque sia gli uomini del capitano Yorke torneranno a riprendere anche gli altri. È solo questione di giorni. »
A quel punto non avevamo che due scelte: o tentare la fuga da Torre B, oppure mettere in atto il piano pensato da Cristina. Nonostante tutte le mie titubanze, mi sono lasciato condizionare dalla volontà della reporter. Volontà che, per capirci bene, era di pura e semplice vendetta. Come se fosse una sorta di Punisher con le tette.
Mentre Yorke e i suoi quattordici soldati si ritiravano negli uffici del Signor M. per pianificare la loro breve permanenza qui, io Cristina ci siamo divisi. Lei è salita con Lo Monaco, con cui già nei giorni scorsi si appartava per soddisfare i pruriti voyeurestici dell'ometto, mentre io sono rimasto con gli altri. Il compito della giornalista era quello di strappare al suo spasimante una delle keycard passpartout che aprono le porte blindate dei vari pianerottoli, ascensori compresi. Keycard disponili solo ai membri dell'élite, come immaginerete. Il mio compito invece era quello di avvertire i nostri compagni di sventura delle cattive intenzioni dei SAS inglesi. Semplice no? Soprattutto considerando che erano tutti dei disperati che, per la prima volta dopo mesi, avevano intravisto una possibilità di vera salvezza.
Se non altro, fin dai giorni del nostro arrivo qui al grattacielo, abbiamo cercato di capire chi poteva fare al caso nostro nel momento del bisogno. Per esempio Valenziano, l'ex ferroviere sosia di Bud Spencer che non si fidava troppo dell'élite. Oppure Cesare Menotti, abbastanza intelligente per intuire che l'improvvisa gentilezza dei padroni di casa puzzava di marcio.
Gli altri invece mi hanno preso per paranoico, per matto, e non sono nemmeno rimasti a sentire il mio discorso fino alla fine. Del resto già nei giorni scorsi, quando accennavamo a qualche dubbio riguardo ai nostri salvatori, ci davano dei disfattisti. Di certo essere amico di Cristina non ha aiutato la mia missione, visto che la ragazza era antipatica quasi a tutti, per colpa dei suoi privilegi come presunta amante di Lo Monaco.
Col senno di poi mi rendo conto di essere stato complice di qualcosa di mostruoso. I sensi di colpa mi accompagneranno per sempre, e non credevo che fosse ancora possibile, in questo nuovo mondo post pandemico. Ma, mentre agivo secondo il piano, l'unica mia accortezza era quella di fare tutto per benino.
La notte tra il 19 e il 20 Cristina ha stordito e immobilizzato Lo Monaco, dopo averlo interrogato per oltre un'ora nell'appartamentino vuoto al nono piano dove organizzavano i loro incontri privati. Il piccoletto le ha detto tutto ciò che poteva tornarci utile, oltre a “cedere” la sua keycard alla mia amica. La ragazza è poi tornata da noi, giù al settimo piano. Ci siamo incontrati nella sala ricreazioni, deserta visto l'ora. Con me c'erano Valenziano e i due Menotti, padre e figlio. Gli unici ad aver preso per buona la nostra versione dei fatti fin da subito. Le armi improvvisate di cui disponevamo erano misere: due manici di scopa e una mazza da golf recuperata in uno degli appartamenti destinati a noi profughi. Tutto il resto ci era stato tolto al nostro arrivo a Torre B.
« Ok allora, facciamo questa cosa », ha detto Cristina, mostrandoci la keycard.
Avrei potuto oppormi, dirle di rinunciare ai suoi propositi bellicosi e limitarci a fuggire. Ma era troppo tardi, e lo sapevamo entrambi. Lei aveva già mandato una mail a Max e Santini, i quali avevano a loro volta dato il via libera a Critchenko e ai suoi animali.
Perché, sì: il modo con cui Cristina aveva pensato di punire l'élite per quel che intendeva fare di noi contemplava l'alleanza con il capo dei Campi di Gialli. Un vero e proprio criminale, una bestia senza pietà né etica umana. Insomma, abbiamo fatto un patto col diavolo.
Il nostro diavolo è ucraino, si chiama Eugenji Critchenko ed è colui che ha unito un paio di grosse bande di slavi nei quartieri di Trenno e Bonola. Comanda una quarantina tra ex malavitosi, ex guerriglieri serbi, ucraini e russi. Sono arroccati in due vecchi palazzoni, dispongono di armi d'assalto e veicoli rubati nei cantieri abbandonati dell'Expo 2015.
I “Campi di Gialli” sono un'invenzione di Critchenko. I suoi sgherri tengono prigionieri circa duecento contagiati in due campi da calcetto dalle recinzioni rinforzate. Ogni tanto li caricano sui camion e li sguinzagliano nei quartieri che intendono razziare, attendendo al sicuro che i Gialli uccidano eventuali sopravvissuti barricati nella zona in questione. Poi passano e ripuliscono, ammazzando anche i contagiati superstiti, che tanto sono facilmente rimpiazzabili.
L'idea di ricorrere a questi criminali è di Cristina. Ne abbiamo discusso a lungo, ma alla fine non c'erano davvero altre alternative, se non quella di lasciar perdere tutto. Così abbiamo contattato Critchenko via radio, ovviamente prima di recarci qui nel grattacielo. Il patto che Cristina e Max gli hanno proposto è semplice: noi avremmo trovato un modo per far penetrare i suoi sgherri nella ricca e agognata Torre B, in cambio lui avrebbe risparmiato tutti i civili non legati all'élite, lasciandoci andare via e decretando una tregua duratura tra i nostri gruppi.
Quando l'ucraino ci ha chiesto perché volevamo morti i tizi nel grattacielo, Cristina le ha risposto solo che se lo meritano più di lui e di tutti i suoi tirapiedi messi insieme. Tanto deve essergli bastato, perché si è rifatto vivo un'ora più tardi, accettando la nostra proposta.
Quindi ci siamo fidati di un assassino, di un ex spietato mafioso, crudele al punto di utilizzare i contagiati come armi biologiche? A quanto pare la risposta è sì.
Ma qualcosa è andato storto. Prevedibile vero? E dire che il piano sembrava quasi plausibile.
I Menotti avevano il compito più semplice: sigillarsi dentro il settimo piano insieme agli altri sopravvissuti in quarantena, che dormivano ignari di tutto. Lì avrebbero aspettato la fine della battaglia per il possesso del grattacielo. Così han fatto, almeno inizialmente.
Io, Cristina e Valenziano siamo scesi al pianterreno per compiere la parte più sporca e pericolosa del piano: aprire i cancelli dei raccordi sotterranei, da dove sarebbero entrati i razziatori di Critchenko. Unico sistema utile per evitare i cecchini del grattacielo, tra l'altro ora coadiuvati dalle sentinelle SAS rimaste di guardia agli elicotteri. Con la keycard di Lo Monaco potevamo invece disattivare i lucchetti elettronici, tenuti accesi giorno e notte per la sicurezza di Torre B.
Al piano terra ci aspettava Harkme, che montava la guardia insieme a un collega, tal Capotondi, un ex lagunare taciturno, segaligno, dalla faccia butterata. Per fortuna nei giorni precedenti avevamo portato Harkme dalla nostra parte. Cristina lo aveva convinto che l'élite si sarebbe presto allontanata da Milano per raggiungere l'Inghilterra, abbandonando loro, i gorilla, oramai inutili, ingombranti e non graditi dai britannici. Motivo sufficiente per convincerlo a collaborare con noi. Di certo gli ammiccamenti della ragazza hanno avuto un peso specifico nella “conversione”.
Appena ci ha visti arrivare, il tedesco ha steso Capotondi con un colpo alla nuca, l'ha ammanettato e imbavagliato, quindi ci ha fatto strada nei sotterranei. Le guardie notturne avevano con sé una copia delle chiavi “materiali” (ossia non elettroniche) del grattacielo. Una precauzione nel caso il generatore fotovoltaico si fosse guastato per una qualunque ragione. Con esse Harmke avrebbe completato il nostro lavoro, spalancando le porte al nemico.
Il parcheggio interrato di Torre B ospitava ancora una decina di auto, una Hummer e due blindati senza né loghi né bandiere. Comunque laggiù c'è spazio per almeno altri trecento veicoli di ogni genere. Nei progetti originari i sotterranei erano stati progettati con passaggi d'intersezione con la linea metropolitana verde e col passante ferroviario. Quando però il Signor M. aveva deciso di trasformare Torre B in una fortezza, nel caso la pandemia fosse degenerata, si era premurato di poter chiudere i suddetti passaggi in caso di bisogno. La soluzione è stata quella di montare delle pesanti serrande in acciaio, dotate di serrature elettroniche e manuali, tanto robuste da resistere a eventuali tentativi di sfondamento.
Mentre Cristina e Harmke si premuravano di aprire la serranda che dava sul lato est, dove c'era il raccordo col passante ferroviario, io sono stato quasi male. Cosa stavamo facendo? Era giusto scatenare un inferno del genere, per quanto i membri dell'élite fossero degli spietati schiavisti? Purtroppo non ho fatto in tempo a dar voce ai miei ripensamenti, perché Harmke aveva già spalancato il cancello.
Dietro di esso c'era buio. Buio e puzza di muffa. A differenza della metropolitana, le stazioni sotterranee dei treni non sono sommerse dall'acqua. Proprio per questo motivo Critchenko ci aveva chiesto di aprirgli la strada da quel lato. Le nostre torce hanno illuminato un ampio passaggio deserto. Scorci di desolazione nell'oscurità. Ho visto una rivendita abbandonata di biglietti, un bar dalle vetrine sfasciate, due distributori automatici di bibite rovesciati a terra. E poi carta straccia, rifiuti ovunque, ratti.
Il tempo di scambiare un'occhiata con Valenziano, ed ecco i grugniti, i respiri affannosi. Oramai li conoscevamo tutti, a memoria, per istinto pavloviano: Gialli in avvicinamento.
Così ho realizzato che Critchenko ci aveva taciuto un dettaglio. Non avrebbe sacrificato i suoi uomini per attaccare un palazzo presidiato da guardie armate e da SAS. No, aveva invece sguinzagliato i suoi infetti, come faceva sempre in fase di conquista. Probabilmente li aveva infilati in quelle gallerie trasportandoli su un paio di vecchi vagoni ferroviari trainati dalla motrice di un camion, o qualcosa del genere. Un po' di cloroformio aveva steso i mostri, abbastanza per abbandonarli là sotto senza il rischio di essere morsi. Però oramai si erano ripresi e ci avevano sentito aprire la serranda. Avevano odorato anche i nostri umori.
I primi tre sono sbucati dalla scalinata che porta ai binari sotterranei 1 e 2. Figure emaciate, luride, scoordinate, ma rabbiose e feroci. Correvano verso di noi, guidati dalla luce delle torce. Solo duecento metri scarsi ci separavano da loro. A seguire ne stavano già arrivando altri. A decine.
« Cazzo, cazzo, cazzo! » Harmke ha armato il suo mitragliatore, pronto a far fuoco. Cristina lo ha bloccato in tempo. « Non sparare, fuggi! »
E siamo fuggiti tutti, non solo lui. Su per le scale, al pianterreno, e poi più su. Di notte l'ascensore era spento, probabilmente per evitare a noi altri in quarantena di aggirarci per la torre. Così ci siamo lanciati sui gradini, cercando di non cedere alla stanchezza e al fiato corto. La salvezza era al settimo piano. Una volta al sicuro insieme agli altri, i Gialli potevano proseguire la loro corsa e combattere con l'élite e gli inglesi. Così pensavamo.
L'imprevisto non calcolato: uno dei quarantinati, l'ex brooker Gordon Doherty, aveva scoperto Cesare Menotti mentre sigillava l'ingresso al sesto piano. L'americano, sveglio a causa della sua insonnia congenita, aveva pensato a qualcosa di brutto da parte del dottore. Senza ascoltare le spiegazioni di Menotti gli era saltato addosso, stordendolo con un pugno e spalancando la porta che dava sul pianerottolo. Quando siamo arrivati, lo yankee rincoglionito stava cercando di spiegare l'accaduto agli altri, che si erano svegliati a causa del casino che aveva fatto. Il figlio di Cesare tentava di spiegare che dovevano chiudersi dentro, ma nessuno lo ascoltava. Del resto aveva solo dieci anni. Chi dà retta a un bambino?
Trafelati e quasi isterici, abbiamo cercato di trascinare dentro tutti, ma Gordon ha opposto resistenza. Da un certo punto di vista c'era anche da capirlo, visto che la scena aveva dell'assurdo. Specialmente per chi, come lui, non conosceva nessun retroscena. L'americano ci ha sbarrato la strada sbraitando nella sua lingua. Harmke, oramai fuori di sé, gli ha sparato alle gambe.
I nostri compari a quel punto erano confusi e terrorizzati. Mario Orsato, che in tutti quei giorni si era comportato da perfetto gentleman, ci è saltato addosso, supportato da un paio di altri uomini. Quella rissa assurda e imprevista ha dato il tempo ai Gialli che ci seguivano di recuperare terreno. Quando i primi sono sbucati sul pianerottolo, Cristina mi aveva già trascinato su per le scale. Aveva capito che il settimo piano era perso ancor prima di combattere.
L'ho seguita. Con la coda dell'occhio ho visto un Giallo vestito da pony express lanciarsi addosso a Orsato, mentre gli altri sfondavano nel corridoio d'accesso agli appartamenti. Una cicciona di mezza età ha afferrato il piccolo Menotti, sollevandolo come un bambolotto.
Valenziano si è aggregato a noi, menando bastonate col suo manico di scopa per farsi largo tra i due mostri che lo assediavano da vicino. Harmke invece si è liberato da una contagiata furiosa come una gatta selvatica, evitando i suoi morsi grazie alle protezioni che indossava su braccia e gambe. Sparando alla rinfusa per coprirsi la ritirata ci ha poi seguiti.
Ci siamo fiondati all'ottavo piano. Abbiamo chiuso la porta sul pianerottolo, sbarrandola con un estintore utilizzato a mo' di sbarra, per bloccare i maniglioni d'accesso. I Gialli ci hanno raggiunto quindici secondi dopo. Si sono lanciati sulla porta come missili umani, picchiando e strepitando. La porta ha retto e loro sono passati oltre. Là fuori era una cacofonia di urla, strepiti e grugniti bestiali. Pochi minuti dopo si sono aggiunti anche gli spari dai piani di sopra. I soldati di Casiraghi si erano infine accorti dell'outbreak e stavano reagendo. Se solo si fossero accorti del gran numero di mostri penetrati nella torre avrebbero senz'altro optato per sigillarsi nella loro roccaforte, pensando a una strategia alternativa.
Attirati da nuove prede i Gialli ci hanno lasciato stare, dividendosi in due gruppi: quelli che stavano facendo a pezzi i nostri compagni, al settimo piano, e gli altri, lanciati all'attacco dell'undicesimo. A giudicare dal gran casino dovevano esserci tutti i duecento mostri che Critchenko teneva in cattività nei suoi serragli.
Da allora sono passati tre giorni, come scrivevo a inizio post. I mostri sono ancora nella torre.
Abbiamo avvisato Max e Santini dell'accaduto. I nostri amici sono orripilati, ma hanno cercato di mostrarsi solidali. Ci hanno chiesto di tenere duro, di non fare pazzie. Al vecchio rifugio le cose sono più tranquille, anche se Manuel è oramai in fase di netto peggioramento, e Luigi si è chiuso in una sorta di stato catatonico permamente.
Due ore fa Max ci ha scritto un'altra mail. Critchenko si fatto vivo via radio, comunicandogli che entro poche ore avrebbe fatto irruzione coi suoi uomini a Torre B. Le disposizioni dell'ucraino, che da buon portavoce Max ci ha fatto avere, sono quelle di attendere l'arrivo dei predoni e di non opporre alcuna resistenza. A suo dire, il boss è ancora disposto a lasciarci andare, proprio come avevamo pattuito prima di entrare nel grattacielo.
Non mi fido. Anzi, nessuno di noi si fida. Eppure, che possiamo fare?
Solo attendere. Tutto qui.
Se questo dovessere essere il mio ultimo post, chiedo solo il vostro perdono per lo scempio di cui siamo stati involontari artefici. La mia unica consolazione è quella di sapere che l'immondo commercio di carne umana tra l'élite e gli inglesi è stato stroncato in modo definitivo.
Ma a che prezzo?
Dio, a che prezzo...
- - -Ricordo che il mio SB è strettamente legato a quello di Cristina Riccione. Per scoprire alcuni retroscena delle vicende narrate in questi capitoli, date un'occhiata anche al suo blog.
Survival blog: elenco dei capitoli precedenti e degli altri contenuti.