Pensiamo ai primi Swans e pensiamo a un album d’esordio intitolato evocativamente “Caduta dei Gravi” (in italiano, non è una traduzione): ecco i Saison De Rouille. Aggiungiamo un apparato testuale solidissimo, ispirato - come il nome stesso della band – a storie di fantascienza apocalittiche e distopiche, in grado di trasmettere una sensazione di sfinimento e decadenza in perfetta simbiosi col sound. Integriamo tutto questo con un artwork surreale (eppure reale) basato su foto in bianco e nero di spazi deserti e in rovina, oltre che di apparenti catastrofi metereologiche: ecco un tentativo di crescere rispetto agli esordi, pur buoni, su Heart & Crossbone, che quando si tratta di roba tipo Swans e tipo doom difficilmente sbaglia. Infine, la scelta do it yourself, che ti fa prendere subito le loro parti. L’album viene presentato come meno industrial (specie nelle percussioni, comunque ottenute con una drum machine) e più blues del precedente, forse anche per via del fatto che il gruppo ritiene di aver acceso più riflettori sui testi. Un’idea, quest’ultima, paradossale, se si pensa che ci sono anche tracce solo strumentali. Invece è così, perché vale il discorso del “pochi ma buoni” (inquietanti i bambini di “Le Carnaval”), distanziati l’uno dall’altro per essere osservati meglio, evidentemente. La band, insomma, non dice bugie, ma credo che al di là della linea evolutiva che si intravede, la sua forza stia nel clangore debilitante di un sound con un padre famoso (avrei aggiunto anche i Godflesh, ma sono stato smentito).
Convincenti.
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