Anna Lombroso per il Simplicissimus
C‘era chi a sentir parlare di cultura impugnava una rivoltella, c’e chi invece, una mortadella. Il norcino al governo, esecutore scrupoloso di misure ammazza lavoro a sostegno di nuove servitù, in modo che l’occupazione sia precaria, il posto sia ricattabile, il salario sia misero, i diritti siano cancellati salvo quello, sempre minacciato, di cedere a qualsiasi intimidazione per tenersi la fatica, se ne esce con una nuova esternazione, di quelle maledette, spacciate per saggezza popolare, tra proverbi e credenze, da serata davanti al camino col padre padrone che sproloquia mezzo ubriaco di vino e stanchezza, la mamma zitta in cucina o meglio ancora a cucire guanti o a pedalare sulla macchina da maglieria e i figli sotto, a subire come una implacabile condanna un destino di povertà, stenti, travaglio e ubbidienza senza riscatto.
Dopo averli consigliati bonariamente a accorciare le vacanze scolastiche per dedicarsi a lavoretti estivi, magari gratuiti, magari all’Expo scuola di vita, il ministro del Lavoro dà una nuova sveglia a mammoni, mangiapane a ufo, fuoricorso e non solo: «Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21…. I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo».
Si sa questi con una mano danno: concessa la paghetta di 500 euro per spese voluttuarie, promessi fondi virtuali per promuovere cultura, con l’altra tolgono: impoverita, derisa e umiliata l’istruzione pubblica, nutrita una narrazione secondo la quale le uniche università che danno accesso a ambiziose carriere professionali, sono quelle private, assecondato il gran mercato dei master, dei perfezionamenti, prezzo da pagare perché sembri meno avvilente la sosta illimitata in parcheggi a carico dei fondamenti sani della società, adesso – nella prospettiva promossa dall’imperialismo dell’economia immateriale della creazione di eserciti senza arte né parte da spostare secondo bisogno o capriccio padronale – si scopre che lo studio, la formazione, il bagaglio di conoscenze e saperi sono superflui, inutili, anzi, c’è da scommettere, pericolosi perché fanno venire chissà che idee in testa, sollecitano aspettative, favoriscono una consapevolezza di sé e della propria dignità e una coscienza delle proprie inclinazioni e dei propri talenti, davvero inopportune.
Insomma per battere la concorrenza di operai del Bangladesh, di lavoratori indiani, di metalmeccanici coreani, bisogna liberarsi di futili competenze, di inservibili nozioni e di quel patrimonio di cognizioni che ancora oggi vengono esaltate come caratteri inimitabili e superiori della civiltà occidentale, in modo da competere con loro in assoggettamento, abiura di garanzie e prerogative, accettazione di salari mortificanti, di capestri padronali demoralizzanti, di regole invasive di dignità e privatezza, pronti anche a diventare soldataglia di guerre esportatrici di valori di civiltà o a consolidare la vocazione del Paese, dopo la saga gastronomica di Milano, di salumeria, pizzeria e B&B globale.
Eh si, è che « Il voto è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo; bisogna che rovesciamo radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura». La lingua batte dove il dente duole, direbbe un’altra di quelle perle di saggezza popolare che piacciono al perito agrario, che, a conferma delle sue convinzioni, non ha avuto bisogno di applicazione, approfondimenti e studi umanistici per la sua irresistibile carriera, che il più è stato frutto della sua facondia, della sua giovialità e di opportune conoscenze, nel senso ovviamente di amicizie e protezioni. A questo governo, a questo ceto politico il voto non piace, non si addice, è sgradito e quindi meglio cancellarlo: a scuola dove dovrà essere condizionato da benefits, sponsor, arbitrio di presidi sceriffi, ma soprattutto nelle urne, dove deve essere sostituito da timbri a suggello di imposizioni e comandi, o meglio ancora in un futuro, dal tele gradimento, dal mi piace su Twitter, dal condivido su Facebook.