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Dalla Moldavia ai Balcani occidentali, dalla Grecia all'Ungheria, Pechino si è presentata alla porta di tutti quei Paesi che hanno bisogno di investimenti e infrastrutture, concentrandosi in particolare sui settori dei trasporti e della logistica, ma puntando anche all'acquisizione di imprese e all'investimento di fondi sovrani cinesi per finanziare il debito di paesi in grave crisi come la Grecia. In Ungheria la Cina ha acquisito la BorsodChem, principale impresa del settore chimico e ha costruito il centro logistico dei componenti del gigante dell'elettronica e tlc Huawei. In Romania si parla di un miliardo di euro di investimenti e di grandi progetti per l'eolico, mentre con la Bulgaria c'è il progetto per la realizzazione d'un parco industriale. In Moldavia, la China Overseas Engineering Group (Covec) sta realizzando infrastrutture per un miliardo di euro, dopo che nel recente passato il governi di Pechino ha concesso prestiti agevolati e a fondo perduto a quello di Chisinau. Investimenti per infrastrutture, acquisizioni di imprese e partecipazioni anche in Serbia, mentre con la Croazia Pechino ha un accordo per la costruzione del nuovo aeroporto di Zagabria.
La travolgente avanzata dei capitali cinesi presenta però molte incognite, sia per i paesi interessati, sia per l'Europa nel suo complesso. Secondo l'ECFR, il volume degli investimenti cinesi e delle facilitazioni commerciali per l'Europa centro-orientale rappresentano una "quantità sproporzionatamente ampia in rapporto alla portata complessiva delle loro economie". La Cina, inoltre, non ha firmato l'Accordo sugli appalti dell'Organizzazione mondiale per il commercio (Wto) e inquina il mercato degli appalti con ribassi anche del 30 per cento potendo utilizzare manodopera cinese, con salari, contributi e protezioni al di sotto degli standard europei. Esiste poi il problema della trasparenza: non è possibile conoscere la struttura aziendale delle compagnie cinesi, spesso di proprietà statale o comunque fortemente partecipate, mentre l'Europa non dispone di un organismo di controllo degli investimenti esteri come negli Usa. Inoltre, Pechino non divulga i dati sulla quantità di titoli di stato esteri che detiene.
E c'è un ulteriore, serio problema. Sempre secondo il rapporto del Consiglio europeo per le relazioni estere, esiste il pericolo che all'interno dell'UE si formi una specie di “lobby cinese” formata dai piccoli paesi membri che godono dell'afflusso dei capitali provenienti da Pechino e Shangai. Nel suo rapporto, l'ECFR scrive chiaramente che “anche dopo il 2014 (quando una decisione a maggioranza nel Consiglio europeo richiederà 15 stati membri col 65 per cento della popolazione) la Cina potrebbe fare affidamento su di loro, in particolare Cipro, Malta e la Grecia, per bloccare ogni decisione unanime contro i suoi interessi”. La Cina è vicina, è ricca e non fa sconti: a Bruxelles e nelle altri capitali del Vecchio Continente, farebbero bene a rendersene conto in fretta. [RS]
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