A Pierfrancesco Pacoda, consiglierei in spirito di conoscenza e amicizia, una serie di testi che in futuro lo potranno aiutare a capire da ulteriori punti di vista questa terra e che si compenetrano perfettamente rispetto al suo ultimo lavoro sul Salento edito da Kowalski: “Il mio Cinquantennio salentino” edito da Pensa MultiMedia dello scomparso Ennio Bonea; il mio “L’altro novecento – giovane letteratura salentina dal 1992 al 2004” che si avvalse della splendida provocazione recensiva di Andrea Di Consoli su L’Unità, edito da Luca Pensa editore; il lavoro di Donato Valli e Anna Grazia D’Oria “Novecento letterario leccese” edito da Manni e il mastodontico lavoro di Ettore Catalano edito da Progedit dal titolo “La Letteratura del Novecento in Puglia (1970-2008)”. Perché la letteratura è una parte fondamentale del Salento che ha cresciuto e “ucciso” poeti del calibro di Salvatore Toma, Claudia Ruggeri, Antonio Verri (che in molti sino a Mario Desiati hanno amato e continuano ad amare), e Vittorio Bodini che oggi viene pubblicato esclusivamente in Italia da Besa editrice. Il Salento è una terra strana, così controversa da far scrivere allo stimato Pierfrancesco Pacoda non solo “Salento, amore mio”, ma addirittura lo fa parlare di “renaissance” salentina, quando qualche anno fa proprio lo stesso Andrea Di Consoli parlava di un Salento affetto da elefantiasi culturale dove a ogni angolo c’erano artisti, scrittori, poeti, pizzicati e registi. Ad ogni modo l’autore di questa preziosa pubblicazione edita da Kowalski, scrive pagine ricche di entusiastici giudizi e di attenti esami folk/pop/antropologici su come la terra della taranta, la terra dello storico primo maggio a Kurumuny (c’è anche l’omonima casa editrice diretta da Giovanni Chiriatti), la terra dei rave, dei Sud Sound System, la terra del rimorso di Ernesto De Martino, deidocumentari sulle Ferrovie del Sud Est della Fluid Video Crew,della danza delle spade di Torrepaduli, e dell'officina culturale di Edoardo Winspeare abbia prosperato all’ombra di ulivi secolari. L’intelligente e vivo sguardo di Pierfrancesco Pacoda, ha il merito comunque di restituire al Salento una serie di colori, suoni e odori un po’ più ad alta definizione rispetto alle tante cartoline stereotipate che anche interessanti realtà editoriali da qualche tempo stanno immettendo sul nostro mercato. E “Salento, amore mio” potrebbe, anzi dev’essere letto non solo come geografia esoterica di realtà culturali ad oggi conosciute dagli addetti ai lavori, ma anche come punto i riferimento da cui partire per parlare di queste latitudini in maniera altra e forse più corretta.
Pierfrancesco Pacoda, leccese, è critico musicale e saggista. Ha scritto, tra gli altri, Potere alla Parola (Feltrinelli, 1996), Discotech (Adn Kronos Libri, 1999) e Hip Hop Italiano (Einaudi, 2000). Un suo saggio compare sull'Enciclopedia Einaudi della musica. Ha curato il volume Se mi tingo i capelli di verde è solo perché ne ho voglia (Castelvecchi, 1999) e Io, dj insieme a Claudio Coccoluto (Einaudi, 2007). Collabora con Il Resto del Carlino, L'Espresso, il manifesto e Il Mulino
massive attack