1975: Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini
Ispirato al romanzo incompiuto del Marchese De Sade Le centoventi giornate di Sodoma (l’opera, scritta nel 1785, fu definita dal regista “una specie di sacra rappresentazione mostruosa” inneggiante al «piacere» della violenza, delle sevizie, della perversione…), Salò o le 120 giornate di Sodoma è ambientato tra il 1944 e il 1945 e girato nella cinquecentesca Villa Zani a Villimpenta (Mantova): il film ha una struttura che richiama i gironi infernali della “Divina Commedia”: Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue.
E’ l’ultimo lavoro di Pasolini (Pier Paolo morì prima che il montaggio del film fosse ultimato -1-) ed “ebbe, come il precedente Teorema, traversie giudiziarie durissime. Proiettato in anteprima al Festival di Parigi il 22 novembre 1975 (Pasolini era morto da tre settimane) il 23 dicembre venne proiettato nelle sale italiane – la prima nazionale fu al cinema Majestic di Milano – ma tre settimane dopo venne sequestrato dal Procuratore della Repubblica della stessa città, e si aprì un procedimento penale contro il produttore Alberto Grimaldi. Fu questo l’inizio di un’odissea che durò ben quindici anni: infatti, solo nel 1991 venne riconosciuta piena dignità artistica al film. A causa di questa vicende, il film è tuttora inedito nelle televisioni «in chiaro»” -2-.
E’ probabilmente il film più sciocchizzante che sia stato mai realizzato: impressiona e sconvolge ancora oggi, figuriamoci più di trenta anni fa. Ben si comprendono le polemiche furiose che Salò suscitò lasciando interdetti non solo gli avversari di Pasolini ma anche i suoi numerosi estimatori. Mai si era visto (e si vedrà…) qualcosa di simile: per completare l’intera visione lo spettatore deve farsi forza e avere lo stomaco particolarmente duro. “Può piacere o disgustare -afferma Roberto Donati- ma non può non far discutere e questo gli rende merito”.
Il sesso e le sue «perversioni» sono la nota dominante dell’intera opera. In fase di lavorazione Pasolini ebbe a dichiarare: “il sesso in questo film, sia pure in modo onirico e stravolto, diventa la metafora di ciò che oggi il potere fa dei corpi” (autointervista sul Corriere della Sera del 25 marzo 1975). Conferma il Morandini: “Per Pasolini il sesso qui ha un significato politico: il rapporto sessuale sadico è una delle forme di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. È anche una denuncia, in cui il sesso è un aspetto della mercificazione dell’uomo nella società capitalistica”.
Salò non è (o non è solo) un film antifascista, ma un atto di accusa di strettissima attualità. Scrive infatti Angela Molteni: “Pasolini ha concepito questo film… in un momento storico in cui percepiva lucidamente, attraverso tutto ciò che stava accadendo attorno a lui (la violenza, la corruzione, la caduta verticale dei valori, l’imposizione di miti consumistici, l’omologazione sociale e culturale), il grado di sfacelo di un intero paese e il crimine di un potere «tritacoscienze» che agiva – e agisce – in nome di una democrazia solo nominalmente, formalmente tale, una situazione di cui una parte di noi italiani avrebbe cominciato a prendere coscienza solamente sul finire degli anni Ottanta”.
Il film (alla cui sceneggiatura contribuirono Sergio Citti e Pupi Avati) formalmente e stilisticamente è uno dei più raffinati che il grande regista abbia mai realizzato: ambientazione, fotografia, musica… tutto è al top ed evidenzia la notevole bravura dei nostri tecnici e artigiani (collaborarono al film autentici «geni» come Tonino Delli Colli, Dante Ferretti, Danilo Donati, Ennio Morricone…). Perfetti gli interpreti (professionisti e non).
Ha scritto Mario Soldati (uno che di cinema sicuramente se ne intendeva…): “…dopo pochi minuti di proiezione, ho capito che Salò non soltanto era un film tragico e magico, il capolavoro cinematografico e anche, in qualche modo, letterario di Pasolini: ma un’opera unica, imponente, angosciosa e insieme raffinatissima, che resterà nella storia del cinema mondiale”.
note
(1) Matteo Contin ci ricorda che “dopo la trilogia della vita (formata da “Il fiore delle mille e una notte”, “Il Decameron” e “I racconti di Canterbury”) Pier Paolo Pasolini programmò anche una trilogia della morte. Al centro delle due trilogie, c’è sempre il sesso ma, se nella prima è visto attraverso l’occhio giocoso e favolistico di un’adolescenza pura e innocente, nella trilogia della morte il sesso avrebbe dovuto avere componenti del tutto differenti… Il film uscì il 22 novembre 1975, tre settimane dopo la morte di Pasolini. E la trilogia della morte non vide mai la luce”.
(2) Tutte le citazioni, se non diversamente indicato, sono tratte da Wikipedia
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