Magazine Cinema
di Philipp Noyce
Abituato al riciclaggio e con l’estro ridotto al lumicino il Tycon americano è spesso costretto ad affidarsi all’inesauribile miniera iconografica e mitologica di quel cinema per supplire all’assenza di una qualunque variazione. Un assemblaggio di incastri e meccanismi prelevati dal già visto, e ripuliti quel che basta per inventarsi un nuovo titolo.
Un gioco scoperto, ma non per questo meno subdolo perché in questo caso, disegnato sugli istinti di una paese in dialettica continua con i fantasmi del passato. E così dopo anni di iperboli mediorientali e teocrazia satellitare Hollywood torna all’antico riproponendo scenari da guerra fredda, ed una Nikita "bipolare" Evelyn Salt, pescata dalle ceneri dell’action movie più recente. Agente della Cia in fuga dalla propria vita e dall’accusa di cospirare a favore della Russia, la nostra si ritroverà coinvolta in una corsa contro il tempo per fermare il pericolo di un nuova escalation nucleare organizzato da fantomatici figuri.
Essere pensante ed arma letale sfuggita al controllo, Salt, invade gli spazi di un immaginario tutto maschile portandosi dietro una femminilità per nulla mortificata dalle movenze e dagli equipaggiamenti che appartengono al mestiere, ma al contempo si mantiene sottotono rispetto ad un estetica di corpi inguainati e curve mozzafiato che la stessa attrice ha contribuito ad alimentare: una decisione coraggiosa, quella dei produttori, di valorizzare gli aspetti psicologici del personaggio e le qualità recitative di una star conosciuta soprattutto per la sua avvenenza fisica. Femmina per niente fatale quindi, la nostra è una donna chiamata a risolvere le ambiguità di una personalità che il film fa emergere all’inizio del film e che in parte dovrebbero giustificare i cambiamenti di percorso di una storia caratterizzata dal continuo ribaltamento dei ruoli e delle dinamiche che legano i vari personaggi, sullo sfondo di una sfida senza esclusione di colpi.
Intenzioni lodevoli ma penalizzate da un impianto che non riesce a sostenere il bagaglio psicologico e le sfumature dell’assunto: nella contesa tra cinema pensato e quello fracassone è il secondo a uscire vincitore perché più funzionale ad un prodotto che vuole soprattutto guadagnare: inseguimenti urbani, sparatorie telefonate ma soprattutto un andamento che tende ad accumulare situazioni senza svilupparle, sembrano il risultato di un gioco pensato al risparmio, ed anche volendo stare dalla parte di coloro che dell’arte se ne infischiano, Salt appare deficitario persino dal punto di vista spettacolare, irrigidendosi su un atmosfera di plumbeo pessimismo che fa il paio con la fisionomia da sfinge della sua interprete. Aspettando gli esiti di un botteghino fin ora incoraggiante, il film si conclude restando aperto ad una possibile sfruttamento seriale. Come al solito una questione di soldi.
(pubblicato su ONDACINEMA)
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