E lo dimostra senza soluzione di continuità, nel succedersi delle esibizioni, inframmezzate da intermezzi comici, e nei cambi di palco agevolmente “coperti” da brevi coreografie. E, soprattutto, nei numeri che hanno stupito e fatto sussultare il pubblico del PalaTupparello. Se si trattasse solo di esibizioni slegate l’una dall’altra, non staremmo parlando di nulla di diverso rispetto a molti circhi itineranti. In questo caso, invece, ogni numero è in relazione con gli altri e con una storia, narrata in forma “poetica”. Si badi bene, riprendiamo qui l’etimologia. Poesia come atto del fare, come creazione. Saltimbanco crea un mondo altro da noi ma vicinissimo, raggiungibile in un attimo con l’immaginazione. Personaggi come il clown Eddie e il Sognatore ci accompagnano alla scoperta di un universo continuamente in bilico, gioiosamente orgiastico e teneramente assorto. Immaginate tanti Pierrot Lunaire. Vestiteli in maniera sfavillante, con toni caldi e luminosi. Immaginateli librati nell’aria, o in volo al di sopra del pubblico. Questo è, ma non solo, Saltimbanco.
Azzardando una breve analisi, certamente non propria a chi ha le dita consunte per essersi troppo sperticato in lodi, magari senza aver tentato un minimo approfondimento critico: sembra che si possano individuare due elementi per ri-considerare l’opera: il volo e la caduta. Tre numeri su tutti esemplificano quanto detto: pali cinesi, bungee e trapezio. L’ascesa, rapidissima, fino al culmine, al punto più alto, dove l’artista è solo, e poi giù quasi ad abbracciare il palcoscenico; nelle panoramiche che le teste degli spettatori compiono per seguire le evoluzioni che si snocciolano davanti ai loro occhi, è racchiuso il senso più intimo di Saltimbanco. Storia, canto e musica (dal vivo), volteggi che concorrono ad una sorta di grande festa popolare laica, nella quale al posto del santo c’è semplicemente l’immaginazione coi suoi velocissimi voli. Il pubblico è coinvolto, e si vede, e del resto non potrebbe essere altrimenti. Con la poesia di Cirque du Soleil, anche il più imperturbabile si trova ad esultare, battere i piedi a tempo e attendere voracemente la prossima magia. E così, in chiusura, è come quando, da bambini, il giro sulla giostra finisce sempre troppo presto.