Ci sono incappata per caso un venerdì sera che, senza impegni, come unico compagno avevo il divano. Convinta di vederne a malapena l'inizio per poi tornare ad immergermi nel libro da cui latitavo da qualche giorno, sono finita invece per esserne catturata.
Tecnicamente il film mi è parso subito non eccellente, con una fotografia non così curata e mutevole, con un ritmo e dei riferimenti ad altre pellicole senza però mantenerne lo stesso mordente. Tutti questi pregiudizi, dovuti più al titolo sconosciuto e alla provenienza spagnola (oltre che alla programmazione molto tarda da parte di Rai4), sono però svaniti man mano che la vicenda prendeva piede, che mi travolgeva con la sua assurdità e con la sua potenza. Al di là infatti di qualche difetto, Salvador ha la sua forza nel raccontare la Storia, in tutta la sua drammaticità e insensatezza e nell'avere per protagonista un giovane che, nonostante qualche impasse, dimostra internazionalmente il suo valore (Daniel Brühl, protagonista in Goodbye, Lenin! e Bastardi senza gloria e ultimamente visto anche in E se vivessimo tutti insieme?).
Il Salvador del titolo è Salvador Puig Antich, l'ultimo condannato a morte nella Spagna franchista, giudicato colpevole di rapine e omicidio. I fatti raccontati partono dalla sua adolescenza ribelle e al suo unirsi al gruppo anarchico Movimento Ibèrico de Liberaciòn che cerca di dare aiuto ai lavoratori sempre più vessati dalla dittatura di Franco. Il gruppo di cui fa parte prende però una piega più estremista e iniziano così, come moderni Robin Hood, a colpire le banche per usare il denaro per aiutare la gente comune e le altre unità di protesta, mettendo in allarme la polizia. Le cose non si metteranno affatto bene, e dopo l'uso di armi da fuoco, il gruppo decide di scappare per un certo periodo in Francia e aspettare che le acque si calmino. Purtroppo, Salvador torna indietro, e quando la polizia cerca di catturarlo ne nasce un sparatoria nella quale lui stesso viene ferito mentre un poliziotto resta ucciso.
E' carcere, è processo, è condanna a morte.
Nei lunghi mesi di attesa, in molti si muovono per chiedere la grazia del giovane, la famiglia è sconvolta, perfino il papa cerca di interagire all'ultimo ma Francisco Franco non risponde al telefono.
Tutta questa vicenda ci viene raccontata con il cuore, schierati sì, di parte, ma di quella di un giovane idealista e generoso e non di un anarchico insurrezionalista. Un giovane capace di smuovere le coscienze di un popolo oltre che di chi gli sta a fianco. Sono infatti i momenti profondi e intimi della sua prigionia a catturare, immerso nei libri, nelle conversazioni con i suoi custodi, e forte nonostante ciò che lo attende, Salvador dimostra una maturità e un senso della giustizia più forte di quella di un tribunale, ma resta comunque un ragazzo il cui destino è fin troppo grande.
La punizione vuole essere esemplare (anche perchè nel frattempo in un attentato aveva perso la vita il primo ministro Luis Carrero Blanco), la morte avverrà per garrota, strumento di tortura ancestrale il cui utilizzo fa raggelare. Si finisce così per versare lacrime di odio e di dolore, per un processo ingiusto e manovrato, per una vita che poteva essere risparmiata ma che, negli anni e nei giorni subito dopo la sua morte, si è fatta simbolica e portatrice di un messaggio universale che ancora oggi ha la sua eco.
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