Salvatore Ritrovato - L'angolo ospitale, nota di Rita Pacilio

Da Ellisse

Salvatore Ritrovato - L’angolo ospitale - La Vita Felice, 2013

La personalità seleziona la nostra memoria; infatti ricordiamo avvenimenti che corrispondono al concetto che abbiamo di noi stessi dimenticando/accantonando tutto il resto. Questa è una apparente amnesia, così come osservò Freud all’inizio del secolo analizzando alcuni suoi pazienti, perché tutto ciò che abbiamo incamerato come esperienza sarà conservato/catalogato nel nostro inconscio. Ciò che emerge a livello di coscienza, con maggiore enfasi, sono quegli accadimenti che ci vedono coinvolti nel nostro rapporto con gli altri individui del mondo. Salvatore Ritrovato, nel suo ultimo lavoro poetico, L’angolo ospitale  , LVF 2013, sa ben inquadrare la nostra esistenza in una struttura culturalmente organizzata e significativa; struttura personale/sociale che comunica, unisce, partecipa. Alcune poesie sembrano nutrire affermazione e negazione di molte ipotesi contrarie e antitetiche; l’autore pensa e accumula immagini in un mimo che poi si apre in divaricazioni ampie, trasferibili, in modo circolare, corale, su altri spazi/piani intellettuali, a volte imprendibili al lettore superficiale. Rievocare gli eventi per frequentarli nuovamente e per raccontarne le sfaccettature quotidiane porta l’autore ad attraversare una crono-storia nitida e autentica delle cose  così da valicare gli oggetti ricordati e i coinvolgimenti sociali in cui essi sono storicamente collocabili. La poesia riesce a sopperire alle mancanze, ai pentimenti, ai rimorsi appartenenti all’uomo contemporaneo sublimandone i significati sociologici più complessi. Il reale, intriso di contraddizioni e di retro-panorami, spesso non previsti, viene osservato con entusiasmo sincero, moderno: da qui scaturiscono versi ondulati, permeati di interiorità del visibile. La poesia, secondo Ritrovato, è la possibilità che abbiamo per creare una cultura alternativa capace di soverchiare i vecchi sistemi: scoprirsi protagonisti e clandestini dello stesso mondo ci permette di stabilire un assetto ambientale che non dà peso all’inquietudine, al tempo che scappa o alla perdita di tempo, come spreco, alla morte, regina della vita che, occupa, recide, abbatte. Il libro contiene pagine di prosa in cui è sottolineata la filosofia dell’autore che non si sente estraneo alla mutevolezza della storia, alle sue stravaganze. La via d’uscita al rumore/solitudine del mondo è il mondo stesso che si fa angolo ospitale,   accogliente, che può mutare, migliorare, anelare a schemi cognitivo/comportamentali sani, concreti, saggi. Il passato, e ogni sua memoria, e il presente, con ogni sua fragilità, diventano un flusso vitale verso il futuro in cui è possibile ri-trovare lo scioglimento della tensione irrequieta. Il tempo, e la sua fine, occorre visitarlo tutto, con umiltà. (rita pacilio)


Diciannovesima settimana


Mi piace dirti ciccia e birba
sopra la pancia che si muove
tra la mamma che nicchia
e le lenzuola a fiori.


Mi piace sfarinare un balbettio
appenderlo a una frangia del pigiama
ghiro nella placenta
che fruscia nelle orecchie
l’ombra buona delle sere d’inverno
che ci osserva alle finestre
toc toc batte alle porte
bacino schiocca forte.


Mi piace dirti ancora dormi
ascolta.

Su una vecchia fotografia


Chi mi fissa di voi in questa lucida carta?
Che brusio è scomparso dallo schermo
muto di questa kodak?
Trent’anni e una parola per tenere
quelle pupille, filmarne il verso
sopito dalla pellicola
l’attimo di meraviglia, non basta.
Verrò ad abitare un giorno con voi
dove non scorre linfa, non trasuda
spirito di focolare e la pietà s’appanna.
Pure finirà tutto, in un ostensorio
cesellato con cura, o in un calice
sollevato sull’altare; cesserà l’andirivieni
fra me e voi che mi aspettate
laggiù, sulle scale, dopo un matrimonio.

Il nuovo melograno


È stecchito il nuovo melograno, l’avevo messo
sul balcone l’altro ieri, al pieno sole di un autunno
caldo in via Garzoni, e ogni mattina mi teneva
nella sua figura incerta il commiato alla leggerezza.


Strano mercurio dell’al di qua, cosa farò adesso?
dico al ramo spoglio. Questo frutto
ancora in bilico sul vaso arido riempie le mani
ma non fiuta più sotto di sé la terra, è secca.


Neanch’io, va bene, e sono a due passi, sento
esalare l’anima da quel rapido mulinare
di foglioline sopra il cortile, né cadere il vento
per caso fra queste vie ingiallite, in esilio.


E ha senso una stagione per vivere e una per morire
una per scegliere di restare, una per ripartire?
o basta scrivere questo libro che non parla
di noi ma ospita tempi inerti e lontani ci dirotta?


Mi piego alle umili radici interrate nel vaso.
In un piccolo perimetro come questo oggi pianto
un’immagine del mondo, e di nuove domani,
e ad altro non riesco a credere, e pure aspetto.

Salvatore Ritrovato (1967) ha pubblicato le raccolte di versi Quanta vita (1997), Via della pesa (2003), Come chi non torna (2008), e diverse plaquette fra cui Cono d’ombra (2011, con film-DVD, regia di A. Laquidara). Per quanto riguarda il suo lavoro critico, ha pubblicato di recenteDentro il paesaggio, Poeti e natura (Archinto, 2006), La differenza della poesia (puntoacapo, 2009), e Piccole patrie. Il Gargano e altri sud letterari (Stilos, 2011). Collabora a riviste e giornali, e co-dirige l’annuario della poesia italiana ‘Punto’. Insegna letteratura italiana presso l’Università di Urbino, dove vive.



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