11 febbraio 2016 di Redazione
di Antonio Negro
È stata recentemente pubblicata dall’editore Kurumuny, l’ultima raccolta di racconti di Salvatore Tommasi dal titolo I tesori della cassapanca, con la copertina di Egidio Marullo.
Dieci sono le storie narrate in questa raccolta di brevi racconti, simili a dieci sequenze di un unico film (tanta la suggestione evocativa) che restituisce ai nostri occhi, e cuori, scene di vissuti ormai lontani nel tempo, spesso dimenticati, talvolta riaffiorati nella memoria come immagini sfuocate o sbiadite rappresentazioni di scenari familiari, relazionali, affettivi, sociali, lavorativi, artistici, ma che restituisce anche figure di indimenticabili protagonisti che, in modi diversi, hanno dato un contributo alla formazione del nostro essere.
Alle suadenti parole della narrazione, senza nostalgia, è affidato il compito di dare corpo ai luoghi, agli ambienti, ai profumi, ai personaggi che abitano la scena dei vari racconti in cui si muovono, simili alle increspature della superficie della coscienza che rimugina il tempo.
Ecco le corti che disegnano androni aperti e spaziosi incorniciati da grandi archi sbrecciati e corrosi; le strade ed i loro incroci trasformate in officine di bravi artigiani ambulanti; la periferia trasformata in accoglienti e polverosi campi da gioco; le tortuose stradine che si intrecciano in labirinti di vicoli al sapore di limone, melograno, menta …
Ecco i mestieri, che un tempo esprimevano quelle competenze artigianali che reggevano l’economia, incarnati da personaggi feriali immersi in scene di vita quotidiana: l’esperta tessitrice Agatuccia col suo vecchio telaio; il superstizioso arrotino maestro Titta con la sua bicicletta che all’occorrenza diventa complessa macchina di lavoro; il generoso maestro Chicco, esperto in riparazioni di oggetti figulini; il filosofo ombrellaio, maestro Gaspare; il fornaio Teodoro in odore di contrabbando, quando la distribuzione del pane era regolata dalla tessera in periodo fascista; la sciatta maestra Màlia eppure celebre sarta, famosa per la sua artistica precisione ed accuratezza nel confezionare i suoi vestiti; i valenti fratelli fabbri e maniscalchi: il vanesio maestro Eupremio e il maestro Pasquale, geloso della sua stessa bravura; l’artista Lorenzo, pittore di scene religiose, sorretto da una straordinaria umanità; l’anonimo vecchio cestaio, maestro di vimini e di vita; il cordaio maestro Amedeo che cede alla tentazione del gioco d’azzardo nella speranza di migliorare le precarie condizioni di vita.
Un caleidoscopio della semplice vita reale di un borgo lontano nel tempo ma vicino alla memoria ed alla sensibilità di Salvatore Tommasi che, con la sua ricerca, ha voluto seguire il metodo d’indagine che fa capo alla corrente francese delle Annales avviata da Marc Bloch e Lucien Febvre e che Carlo Ginzburg ci ha fatto conoscere in Italia con le sue Microstorie.
Nella penna di Salvatore le storie dei mestieri vengono contaminate da una vivace immaginazione che ricostruisce un universo personale e sociale trasformando la storia in testo narrativo in cui l’autore si confonde con l’io narrante ed attualizza le vite ed i vissuti dei personaggi, divenuti talvolta occasione di autoanalisi o esplicitazione della sua filosofia della vita. Una testimonianza di parola che travalica la dimensione spazio temporale per attingere al mondo attuale brulicante di vita, quella dei ragazzini e degli adolescenti. Operazione letteraria non dissimile, nel metodo, da quella messa in atto da Maria Corti nel suo L’ora di tutti, dove il sostrato storico non ha sminuito la portata artistica della narrazione né la narrazione ha alterato l’anima delle terribili vicende storiche vissute dagli otrantini piegati dai Turchi nel 1480.
È così che comprendiamo la nutrita presenza di ragazzine e ragazzini in ogni racconto. Attraverso gli occhi, ed i sentimenti, dell’autore li vediamo tutti coinvolti, con allegro entusiasmo, a collaborare con i maestri, ad apprendere i mestieri, a costruirsi semplici giocattoli di stoffa pianificandone l’uso collettivo, a giocare a sassolini o a campana, a progettare con ardita scaltrezza escamotages capaci di risolvere intricate e difficili situazioni, ad interrogarsi su quello che accade intorno a loro, financo a commuovere gli adulti con caparbia schiettezza inducendoli a cambiare atteggiamento nei loro stessi confronti. Se i loro nomi sono frutto di fantasia, inventata non è la loro identità. Sì, perché essi sono i ragazzi di oggi, quelli che hanno conosciuto ed amato la Maestra. E soprattutto di loro e della Maestra, delle loro relazioni e del suo modo di essere, della sua assenza-presenza che Salvatore ci vuole raccontare
Nella confusione di tempo e di spazio, di oggi e di ieri, di vecchio e di nuovo, c’è tutto il modo di essere di un’appassionata maestra attenta a favorire in ogni modo la meraviglia per il mondo innata nei suoi alunni. Una brava maestra che li accompagna alla scoperta della realtà circostante, assecondando e stimolando in ognuno la curiosità e la ricerca, le domande ed il desiderio di conoscere. Una maestra con la missione di aiutare i suoi alunni ad illuminare il futuro leggendo il passato e vivendo in pienezza il presente. Questo la rendeva felice, proprio come la tessitrice Agatuccia era soddisfatta nello sciorinare a ragazzi, immobili ed affascinati, il suo corredo, cioè i suoi tesori di bellezza racchiusi nella grande cassapanca. Ed una ideale cassapanca la vediamo anche nella verve narrativa del vecchio cestaio che, nel mentre spiega con dovizia di particolari le tecniche di costruzione delle ceste, carpisce il loro vivace interesse alla narrazione della storia della piccola Bice che declina ingegno, fantasia e bellezza tanto da vincere una difficile gara, quasi una fiaba senza tempo, metafora di cerimonie magico-iniziatiche di apertura alla vita adulta, come Calvino ha insegnato.
Alla fine, il segno della Maestra diventa sogno e, in una circolarità iterativa, ritorna ancora ad essere segno, ma più forte di prima. Il passo del narratore ci accompagna delicatamente in un immaginario quasi fiabesco dove si sviluppa e si conclude la breve storia della piccola Adele, allegoria di altre irreversibili esperienze di vita, di dolore. La stessa empatia umana della Maestra con i suoi allievi si riversa ora nell’artista Lorenzo che rimane catturato dalla bellezza dei volti innocenti delle bambine intente ai loro giochi. Colpito dalla loro spensieratezza, riversa tutta la loro allegria nel magico dipinto realizzato nella chiesa del paese natale di Adele. Le sembianze brillanti di gioia ed contentezza di sei ragazzine, divenute angeli, all’unisono fanno corona a Gesù Bambino raffigurato dall’incantevole volto della piccola Adele tenuta in grembo dalla Madonna, sua madre. Un tripudio di vivida luce, di nobili colori, di intensi sentimenti, di sublime bellezza si radica dolcemente nei nostri cuori e ci restituisce per sempre, attraverso Adele, in una ricorrente osmosi di affetti, la presenza della nostra amata Maestra.