In quanto alessandrini, ancor prima di pensare ad una città futura sarebbe forse il caso di pensare a come salvare i monumenti e le opere del nostro passato come, ad esempio, l’antica chiesetta di via Guasco dedicata alla Beata Vergine Assunta. Sorta – recita una targa fatta apporre dall’Amministrazione Comunale – in relazione alle epidemie di peste, come testimonia un dipinto con San Rocco e la Madonna. Ricostruita nel 1788-’90 dal conte Agosti, avvocato dei poveri, quello scampolo di Alessandria giace ormai transennato e abbandonato da tempo all’incuria delle generazioni che si sono succedute fino ad oggi. Certamente non sarà un’opera dal valore artstico eccelso, ma una città come la nostra, che non abbonda di ricordi da tramandare ai posteri, anche una modesta chiesetta del settecento edificata per ricordare l’epidemia di peste che falcidiò la popolazione alessandrina dell’epoca, potrebbe e dovrebbe godere di maggior rispetto da parte degli alessandrini di oggi. Come se non bastasse poi, quella chiesetta si trova proprio alle spalle della Curia Vescovile, per cui, presumo, risulterà difficile ignorarne la presenza e le disastrose condizioni. Sono troppe le testimonianze del nostro passato abbattute per la colpevole incuria e superficialità degli amministratori che si sono succeduti a Palazzo Rosso al punto che, tanto per citare soltanto quanto è fi nito sotto le ruspe nel dopo-guerra, al primo posto troviamo il teatro Viginia Marini, in puro stile Liberty, con relativo gazebo in ferro battuto, anch’esso Liberty, collocato nell’ampio giardino antistante il teatro stesso. Il tutto oggi sostituito da un manufatto in cemento armato che, in compenso, offre non poche preoccupazioni all’odierna Amministrazione. Gli anni sessanta-settanta sono stati testimoni di una furia distruttrice che non ha più avuto eguali nei decenni successivi, naturalmente escludendo l’infausto e recente abbattimento del ponte Cittadella. Le ruspe si sono appropriate di buona parte del patrimonio artistico-culturale di Alessandria come testimonia anche l’abbattimento della fabbrica Borsalino e della sua ciminiera. Fortunatamente qualcosa si è comunque salvato, come gli uffi ci e l’ingresso storico della fabbrica oltre a qualche altro spazio particolare, attualmente sede dell’Università. Così come si è salvata, è il caso di dire “per un pelo”, la restaurata “Taglieria del Pelo” opera di Gardella. La preoccupazione però, riguarda anche le opere in attesa di una destinazione futura. Presto sarà la volta della Caserma Valfrè, ma quello che preoccupa più di tutto, e di tutti, è il destino della Fortezza della Cittadella. Attualmente destinata ad ospitare ogni genere di manifestazione. Da tempo però, si stanno levando voci di dissenso ad un uso improprio di un luogo che ha vissuto momenti storici fra i più importanti degli ultimi duecento anni di storia italica. Insomma, da alessandrino che ha vissuto buona parte della storia contemporanea della sua città, che ricorda ancora le macerie lasciate dai bombardamenti del ‘43, trovo incomprensibile che nell’anno di grazia 2010, si dia la priorità all’acquisto di centomila rose, con un esborso di mezzo milione di euro, nel contempo ignorando, e abbandonando al suo infausto destino, quella piccola ma signifi cativa opera di cui parlavo all’inizio. Un’opera che ha l’ineguagliabile pregio di ricordare agli alessandrini un minuscolo, ma non meno importante frammento della loro storia. Non meno importante, ne sono certo, dei cassonetti dei rifiuti a scomparsa (costo circa 65mila euro a batteria), ma che a scomparsa non sono dal momento che rimangono in superfice molto più tempo di quanto non trascorrano nel sottosuolo, causa guasti o vandalismi vari. Per non parlare poi della improbabile fontana tricolore posta di fronte al Municipio, oppure ancora l’ingabbiamento del monumento a Urbano Rattazzi per cui si è riusciti a far risaltare, in modo negativo, anche se per la sua salvaguardia, il monumento in bronzo più discusso del Comune di Alessandria, naturalmente dopo quello, fortunatamente eliminato, che la fantasia popolare definì il “fallo” di piazza Marconi. Questo per sottolineare, qualora ce ne fosse la necessità, che non sono i denari che mancano a questa, così come alle precedenti amministrazioni, comunali, provinciali e nazionali (il crollo della Domus dei gladiatori a Pompei insegna) troppo spesso, infatti, mancano soltanto i denari per fi nanziare cose intelligenti e il recupero di quella chiesetta, mi sia consentito, è una di quelle.