Alla festa c’erano quasi tutti i suoi amici, quei bambini, più o meno coetanei che vivevano nella palazzina a quattro piani nel quartiere d’Ibrahimia; quel “mucchio selvaggio” cresciuto nell’ampio giardino condominiale e nelle strade limitrofe. C’era anche Sara, era egiziana come lui ma di religione ebraica. Era la sua vicina di pianerottolo, un po' anche la sua vittima. Samir le tirava spesso le treccine e si divertiva a vederla piangere, ma non erano solamente liti e dispetti, erano anche giochi ed affetti. Erano ancora troppo piccoli per sentire una particolare attrazione l’uno verso l’altra, ma non poteva passare giorno senza che s’incontrassero.
. Quando salì sullo scuolabus che lo portava all’asilo di Notre Dame de Sion, Sara era già lì. Si scambiarono i soliti due bacini fraterni; ma quella mattina Sara dilungò l’abbraccio. Samir, vide nel suo sguardo qualche cosa di strano, una cosa che penetrò nel suo animo e lo fece rabbrividire, non capiva perché.
L’inverno passò in fretta tra giochi e gite. Ogni tanto Samir sentiva quella strana sensazione quando Sara lo guardava con i suoi begli occhioni celesti ereditati dalla mamma polacca, era proprio carina, carnagione olivastra, cappelli nerissimi sui quali spiccavano, appunto, quei due “faretti”. L’estate pure trascorse in fretta tra bagni al mare, gite in barca e feste varie. Purtroppo il papà di Sara fu trasferito al Cairo dopo avere ottenuto la sospirata promozione a Direttore Generale della sua azienda. Sara pianse molto per il distacco, Samir, atteggiandosi da duro, riuscì a trattenere le lacrime ed a fare finta di niente, ma poi si rinchiuse nella sua stanzetta e singhiozzò a sua volta.
Per i sei anni successivi Samir pensò spesso a quell’ultimo abbraccio; non riusciva a togliersi dalla mente il “musino” di Sara. Con gli amici incominciava a parlare di sesso. Durante i giochi, quello del “dottore” era tra i più gettonati, i ragazzini così esploravano i loro corpi. In quei sei anni, Samir e Sara non s’incontrarono più; si scrissero qualche lettera, si scambiarono delle foto. Samir notava il cambiamento ma per lui, l’immagine di Sara era quella dell’ultimo loro incontro, lei portava le trecce ed il vestitino a quadretti bianchi e blu.
Quando quella mattina suonarono alla porta, Samir corse diligente ad aprire. Rimase di stucco. Sull’uscio vide una bella bimba mora con due splendidi occhi azzurri; aveva già le sembianze d’una signorina. Samir, notò subito le due piccole protuberanze che lei aveva sul petto. Sì era Sara! Rimase lì a fissarla come un ebete; d’altronde la ragazzina aveva la stessa espressione. Dopo quasi un minuto i due s’abbracciarono, quando le loro guance si toccarono Samir sentì le calde lacrime di Sara ed anche lui non seppe trattenere le sue. Il cuore gli batteva forte e le gambe tremavano, le ginocchia facevano fatica a reggere il suo peso. Quando Sara le passò la mano sulla nuca con una tenera carezza a Samir ribollì il sangue. Aveva una voglia matta di baciarla sul serio, sulla bocca, ma non n’ebbe l’ardire, non l’aveva mai fatto con nessuna, era troppo giovane. Qualche tempo dopo, Sara confesserà che quel bacio l’aveva desiderato quanto lui. Sara era tornata ad Alessandria, a sorpresa. L’azienda del padre aveva deciso di trasferire la direzione in quella città perché vicina al porto. Presero alloggio ad un isolato di distanza.
I due ragazzi erano diventati inseparabili. Erano innamorati profondamente l’uno dell’altra senza avere la forza di dichiararlo. Certo erano ancora molto piccoli, continuavano i giochi e le liti con i compagni, le lunghe passeggiate in bicicletta, il cinema pomeridiano, le “vasche” sulla corniche e la partecipazione a tutte le feste di tutti i culti, come si usava. I ragazzi si prendevano spesso per mano o addirittura sottobraccio ma mai osavano dichiarare il loro amore, anzi quando i compagni li dichiaravano “fidanzati”, entrambi lo contestavamo. Samir faceva spesso la “mano morta” cosa che non dispiaceva affatto a Sara la quale assumeva atteggiamenti atti a provocare tale gesto, anche lei cercava sempre il contatto fisico con lui. Passarono le stagioni e giunse anche l’estate ed i primi bagni al mare. Samir rimase incantato nel vedere la sua ragazza in costume, il suo corpicino s’era sviluppato, s’intravedevano le sembianze da donna, il seno ormai era grande come due mandarini; Sara, era fisicamente più matura della sua età ed attirava l’attenzione di ragazzi anche più grandi di Samir. Fu così che un giorno, Samir vide il suo miglior amico, Ahmed, importunare Sara. Allora si mise di mezzo ed esclamò: “Lascia stare la mia fidanzata”. Ahmed lo guardò sorpreso esclamando: “Scusa Samir, ma lo hai sempre negato”, “bene, ora non lo nego più” rispose Samir. Ahmed, gli strinse la mano e s’eclissò. Sara guardandolo con gli occhi pieni di tenerezza domandò: “Davvero sono la tua fidanzata?”, “Sì” esclamò secco Samir, “e posso dirlo alle mie amiche?” di nuovo Samir emise un secco “sì”. Si presero per mano e fecero il bagno. Samir e Sara si scambiavano spesso effusione ma mai ancora un vero bacio ne un’esplicita dichiarazione d’amore.. Arrivò la primavera con il suo carico di vitalità, le piante che fiorivano, i soavi profumi che colmavano l’aria e il cinguettio degli uccellini, tutte cose che ispiravano all’amore. I due ragazzi, si trovarono nell’agglomerato delle “villette estive”; stavano giocando, con i più piccini, a nascondino. Si ritrovarono nell’angusto capanno degli attrezzi, stretti l’uno all’altra si guardavano negli occhi, Sara abbracciò Samir, socchiuse gli occhi e reclinò il capo; l’invito era più che eloquente, Samir quella volta, non esitò a baciarla. Si scambiarono ancora qualche bacio ed alla fine Samir trovò il coraggio di dire: “Sara, ti amo”, “io invece ti ho sempre amato, non me ne rendevo conto ma poi ho capito”, “anch’io” esclamò Samir. La loro vita continuò serena, come due ragazzi che si amavano. Purtroppo la situazione stava cambiando. Molti cittadini di religione ebraica cominciavano a patteggiare per il neo costituito stato d’Israele. Erano in ogni caso cittadini Egiziani ai quali dispiaceva il dissapore con gli altri Arabi. Generalmente, questa situazione non intaccò le vecchie amicizie, come quella esistente tra le due famiglie dei ragazzi che vedevano di buon occhio la loro relazione. Avevano promesso che, dopo il diploma, avrebbero celebrato il fidanzamento ufficiale.
Nel 1955 Samir si diplomò a pieni voti al Collège Saint Marc e lo stesso fece Sara all’istituto di Besançon. Samir entrò all’accademia dell’Esercito mentre Sara, intraprese la carriera d’impiegata nella ditta del padre. I ragazzi si vedevano di rado ma il loro amore cresceva di giorno in giorno nonostante la situazione politica. Meta preferita delle loro gite era l’ex palazzo estivo del Re, il Montaza. Un giorno fecero una foto davanti a tale palazzo; a bici ferme, la mano nella mano guardandosi negli occhi. Il padre di Sara, abilissimo manager, riceveva molte offerte di lavoro dall’estero, anche Israele gli aveva offerto ponti d’oro ma lui non desiderava lasciare l’Egitto nonostante la situazione resa tesa visto la sua religione. Nel 1956, poco prima del sospirato fidanzamento ufficiale dei due giovani, scoppiò la guerra di Suez. Samir non vi partecipò; era in stato d’allarme nella sua accademia. Dopo le ostilità, la famiglia di Sara fu espulsa dall’Egitto poiché considerata collaboratrice d’Israele. Samir e Sara, non poterono nemmeno salutarsi. Non si rividero mai più.
Samir era anche il mio capo scout. Nonostante la differenza d’età, eravamo molto legati dalla nostra comune passione per “l’arte militare”. Samir rimase affezionato allo scoutismo. Dopo il suo ingresso nell’esercito, partecipava spesso alle nostre riunioni ed ai campeggi nei quali ormai era uno dei “maggiorenni” responsabili dei ragazzi, spesso trascorreva con noi le sue licenze. Passarono gli anni e lui diventò ufficiale dei paracadutisti Egiziani. Nel 1962, poco prima che io lasciassi l’Egitto, lo incontrai nei presi del Montaza, indossava la sua divisa della “Saiqa” (che in arabo significa folgore!), stava fumando una sigaretta fissando un punto morto; spudoratamente gli ne chiesi una, lui me la porse senza discutere, senza rimproverarmi come quella volta che ci sorprese a fumare, di notte, nel campeggio di Marsa Matrouh. Guardai i suoi occhi, erano rossi, poi vidi sgorgare due lacrime. “Cosa c’è Samir?” domandai, “sto pensando a Sara”, “Sara? Ma sono passati sei anni, e poi i parà non piangono!”, “i parà sanno combattere, resistere a fame sete, dolore e torture, ma contro il cuore non si combatte!”. Quella fu l’ultima volta che vidi “chef” Samir.
1967, la mia nave è ferma ad Alessandria, corro in cerca dei vecchi amici, vado al collège dove purtroppo apprendo la tragica morte di chef Samir nella guerra dei sei giorni, quella appena trascorsa. Guerra assurda, come lo sono tutte e che in soli sei giorni ha causato un mucchio di vittime! Come un automa, mi precipito al quartiere d’ Ibrahimia, incontro la mamma di Samir che m’invita per un tè. Guardo le foto esposte sul buffet mentre la signora prepara la bevanda. Tanti vecchi ricordi, in alcune ci sono anch’io, in qualche altra la mia mamma. Vedo Samir guidare gli scout, lui musulmano che comanda il servizio d’ordine per la pasqua cristiana, mi rivedo con la mia squadra, di parecchi cristiani, presenziare alla festa islamica del Bairam. Guardo l’ultima foto, quasi sbiadita, due ragazzi che si tengono per mano davanti al palais Montaza. Samir la teneva nell’elmetto, come tradizione militare; la mamma l’ha avuta con i suoi effetti personali. Dopo undici anni l’amava ancora! Chiusi gli occhi per un attimo. Mi rividi bambino con la mia banda che canzonava Chef Samir: Samir ama Sara, Sara ama Samir o ancora Sara è la “petite amie” di Chef Samir e cosi via. “Che assurde sono le guerre! Guarda, lui è morto per conquistare un centro trasmissione Israeliano, a cosa poteva servire? Chissà se Sara lo saprà mai”, espresse la mamma di Samir.
1968, sono in licenza a Roma. Attacco discorso con un gruppo di turisti per “cuccare” qualche ragazza. Sono Israeliani. Dichiaro i miei natali e scopro che nel gruppo c’è un nativo d’Alessandria. È il mio vecchio compagno di banco. Non l’avevo più rivisto dal giorno della sua espulsione! Ricordi, ancora ricordi; parliamo della nostra città Egiziana, della scuola, dei vecchi amici della “banda”. “Ti ricordi mia cugina, Sara, la petitre amie di chef Samir?” mi domanda; annuisco con la testa. “È morta poverina, nella guerra dei sei giorni. Era sergente in una stazione radio. L’hanno uccisa i colpi di mortaio e le granate sparate dai parà Egiziani. Sono arrivato tardi con il mio plotone di carri a rinforzo. Dopo aver respinto gli arabi, mi è toccato ricomporre le salme. Pensa che in quel che restava della sua borsetta bruciacchiata, ho trovato ancora una sua foto con Chef Samir, in bici, la mano nella mano davanti al Montaza!”. Non raccontai a Ruben la morte di Samir, soprattutto non volevo dirgli che era morto in testa a dei parà che attaccavano una stazione radio, forse il centro trasmissioni era proprio quello di Sara!
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