Modena, Ex Deposito Carcerario.
Una piccola via porticata del centro di Modena ospita, a pochi passi di distanza, due eventi dai background apparentemente distanti, ma che accostati riescono a dare un’immagine in qualche modo completa della situazione – passata e presente – dell’underground emiliano.
La galleria Cayce’s Lab ospita la mostra “Tu Quoque Punk?”, curata da Samanda Turrini e Simone “Kava” Cavalieri. Le quattro pareti del piccolo ambiente ospitano un viaggio fotografico che esplora l’ultima generazione punk emiliana, muovendosi tra le mura de La Scintilla, di Libera, del Fassbinder, e ritraendo volti vecchi e nuovi di una scena sempre vivacemente attiva dal punto di vista musicale e non solo. L’angolo delle fanzine cartacee e le interviste – semplicemente battute, stampate e appese al muro tra la marea di scatti, volti e flyers – raccontano di come l’approccio diretto alla creatività, senza mediazioni di forma o contenuto, sia ancora elemento fondamentale di un’attitudine che non va scemando, ma che vuole ancora affermare la propria identità: combattiva, condivisa e partecipe. Un vero e proprio collage D.I.Y. si espande sulle superfici come un virus, tra colore, bianco e nero e artwork realizzati con colla e forbici. Gli anni, le band (dai CCCP agli Strange Fear), gli spazi occupati, le birre, le facce note e quelle che erano solo di passaggio danno un quadro d’insieme giustamente caotico (ma completo) delle persone e degli eventi che hanno lasciato un segno indelebile nella storia musicale di Modena.
A pochi metri di distanza dal Cayce’s Lab, l’Ex Deposito Carcerario ospita un festival che per la prima volta trascina sonorità più oscure, fitte e incerte nella città. San Drone gioca con il nome della maschera tradizionale modenese e ospita (quasi) tutti gli artisti attivi in più contesti nella provincia emiliana.
L’ambiente è in buona sostanza spoglio, quasi del tutto buio, se non per qualche cero sparso qua e là, e le pareti ricordano quelle di un casolare abbandonato in campagna visto in una puntata di “Blu Notte”.
La serata si apre con il dj set di Michele Tommasini aka TMN, reggiano e già collaboratore di CREEP, associazione promotrice dell’evento. TMN spazia dall’IDM alla techno dub, con sonorità psichedeliche che rimangono comunque soft e apprezzabili anche da un pubblico meno avvezzo all’imminente esperienza sonora (e fisica) del drone. Un antipasto godibile e delicato, che introduce una serie di portate più complesse e articolate.
La mensa procede con LO.renzo, progetto di Lorenzo Mantovani, già attivo in Dynamic Sphere. Il “tema” dell’ambient è trattato in modo completo e viene addirittura oltrepassato, per creare qualcosa di sperimentale e autoreferenziale. La novità sta nell’uso del sarangi, strumento principe della musica indiana e lontanissimo parente del violino europeo. Il sarangi, pizzicato o suonato con l’archetto, produce un suono che non può essere definito semplicisticamente “orientale”, ma che – combinato col resto della strumentazione e le proiezioni video dal tema subacqueo – costruisce una dimensione sonora articolatissima. Le armonie e gli effetti si combinano in molteplici modi e variano da un minuto all’altro, incalzando a scatti e rallentando in modo disteso, mantenendo il pubblico intrappolato tra il sogno e la veglia per un lungo set.
Ci pensa N.i.n.o. a riportare tutti bruscamente alla realtà, con un breve ma intensissimo live che si dirige a braccia aperte verso il drone più cupo. Il set è un crescendo di oscurità, armonie fitte e dense che si accavallano e intrappolano nell’ascolto. L’altalena viaggia tra momenti di ipnosi prettamente dark ambient, con lunghi moduli sonori ripetuti, e violente impennate noise-drone che fanno vibrare pareti già pericolanti. Questa sera viene presentata la nuova tape Artes Chirurgicae Auricularis, collaborazione tra N.i.n.o., Aktarus Aksam e Giant Squid Records. La cassetta è talmente fresca che ne vengono assemblate le prime copie sul posto, ma più c’è improvvisazione D.I.Y. e più ci piace.
Il disagio sonoro aumenta con +C+P+B+ (Claustrophobic Power Bomb) alias Riki, già cantante-leader dei Grumo e boss di Scimmia Bastarda Records. Negli anni le collaborazioni di +C+P+B+ sono state numerosissime: Fecalove, Negativeself, Corpoparassita, Sexterminator69, Saturn From Essence, Nundata e molti altri, a più riprese, a dimostrazione di come un progetto singolo che nasce come proposta industrial noise sappia evolversi e adattarsi alle differenze di ogni contributo esterno. Il noise è più bello quando è condiviso.
Riki, al basso, è coadiuvato con tamburi e percussioni da Nico, batterista dei Grumo, per un live che non tocca vette harsh noise, rimanendo su toni industrial meno estremi, ma non per questo meno efficaci. I due, insieme, creano una lentissima marcia funebre, scandita pesantemente a colpi di piatti e piedi pestati sul pavimento del palco, che fanno rimbombare gli accordi e le distorsioni. Il suono crea un matrimonio ideale con le proiezioni video e le ombre delle maschere che si delineano disturbanti sul muro, con un finale puramente drone tra Satana, la Peste e il Carnevale veneziano.
Aktarus Aksam è il progetto di Simone, batterista dei Jesus Ain’t In Poland, band che non ha decisamente bisogno di presentazioni e che festeggia giusto quest’anno dieci gloriosi anni di molestie audio. Il set è un percorso solitario, durante il quale il suono inizialmente accompagna con sicurezza il viaggiatore, per poi farlo sprofondare in modo graduale in un coma profondo. Il termine ambient è totalmente riduttivo dal punto di vista musicale, la sperimentazione è infatti troppo ricca per essere concentrata in un unico genere, ma calza a pennello per descrivere le atmosfere incerte e le immagini oniriche che si susseguono nel cervello come un carillon per bambini, che crea le ombre sul muro e le fa girare incessantemente. Una storia inquietante di cui Aktarus Aksam è il narratore, con una maschera d’argento in volto e un mantello nero sul capo.
Lili Refrain la conosciamo bene, ma ogni occasione è buona per confermare quanto la sua spontaneità – musicale e umana – sia parte fondamentale e integrante di un suo live. Non c’è infatti spazio per la costruzione di una barriera tra pubblico e artista, in quanto i due ruoli possono essere scambiati in ogni momento, con libertà e partecipazione. Nonostante il palco sia un po’ troppo alto, dando quel senso di leggero distacco, l’atmosfera giusta si crea comunque in poco tempo. Vocalizzi, echi e canti amplificati aprono il concerto, una preparazione al rituale, per proseguire con brani tratti da 9 e le novità attese di Kawax. I suoni, gli arpeggi, i vocalizzi e i passi scanditi col battito della mano sulle corde della chitarra si intrecciano come rami in una foresta, dove alberi, odori e animali rimangono immutati e statuari durante lo scorrere delle stagioni. Il nuovo lavoro, infatti, non ha stravolto l’impianto originario, ma ha consolidato l’esistente e affinato la scrittura, esplorando nuovi sentieri ma senza allontanarsi troppo dalla via maestra a cui siamo affezionati. Fine performance con numerosissimi e sentiti ringraziamenti – che personalmente, in veste di pubblico, sento opportuno condividere – all’organizzazione di un evento curatissimo da ogni punto di vista.
In contemporanea con la due giorni Roma La Drona nella capitale, il festival San Drone ha saputo far emergere molto bene un nuovo e rigenerato profilo dei suoni più sperimentali in Italia. La sua varietà è stata garantita anche dai diversi background dei progetti presenti, leggi “amici” con cui è un piacere condividere una birra e due chiacchiere a serata conclusa.
Grazie a Olivia e Antonella per le belle foto.