San gerolamo e la prassi alimentare cristiana.

Da Csbmedia
San Gerolamo (IV-V secolo d. C.) è una delle figure colossali del cristianesimo antico, non soltanto la sua santità è uno degli esempi più grandi della storia ma il suo servizio intellettuale è stato decisivo per la storia della Chiesa, infatti Papa Benedetto XVI nota: “Gerolamo ha posto al centro della sua vita e della sua attività la Parola di Dio, che indica all’uomo i sentieri della vita, e gli rivela i segreti della santità. Di tutto questo non possiamo che essergli profondamente grati, proprio nel nostro oggi.” Ogni cattolico dovrebbe dare il giusto peso a queste parole del Papa che invita a prendere esempio da tale figura. San Gerolamo, è noto, fu l’autore della vulgata, la prima traduzione della Bibbia in latino. Egli fu uno dei pochissimi, tra i cristiani, a conoscere l’ebraico, oltre il greco. La sua acutezza e sensibilità intellettuale gli permise di compiere questa impresa nei confronti della Parola divina. Ma San Gerolamo fu anche uno strenuo difensore della pratica alimentare cristiana delle origini, il vegetarianesimo. Nella famosa, ma poco letta, Adversus Iovinianum egli scrisse: “…dopo la venuta di Gesù non possiamo più mangiare carne.”[1] Perché? Perché San. Gerolamo conosceva bene la Genesi, avendola tradotta, e nelle parole divine l’uomo viene chiaramente indicato come vegetariano. [2] San Gerolamo ha anche smascherato il cosiddetto permesso, dato dopo il Diluvio, di mangiare carne, definendo quel passo come una interpolazione tardiva, indice di un basso periodo spirituale. Comunque sia la venuta di Gesù costituisce per il Santo la venuta della perfezione originaria, e la vittoria sul peccato originale consente a ogni cristiano sincero di tornare ad una alimentazione pura e non violenta. San Gerolamo non destinava tale pratica alimentare solo a sé stesso o a quei pochi che volevano dedicarsi ad una severa pratica ascetica. Sappiamo che San Gerolamo visse nel deserto e lui stesso ci ha lasciato una straordinaria descrizione di sé in quella vita santa. Ma nelle sue lettere egli invita ogni cristiano autentico alla pratica vegetariana. Citiamo solo alcuni brevi, ma esaustivi, passi:
“ Ciò che i Bramani dell’India ed i gimnosofisti dell’Egitto osservano, cibandosi unicamente di farina di orzo, di riso e di frutta, perché una vergine di Cristo non deve farlo in modo completo? […] Si cibi di legumi, semola…[…] …lo facciano i seguaci di Iside e di Cibale, i quali, nella loro ghiotta astinenza, divorano fagiani e tortore fumanti…” [3]
Queste parole sono rivolte ad una madre cristiana che deve educare sua figlia e San Gerolamo indica nei dettagli la prassi educativa che può rendere solida la spiritualità cristiana. Sono attualissime queste indicazioni che dovrebbero ispirare il cristiano di oggi, portandolo a chiedersi come mai in altri cammini religiosi è insita la dieta vegetariana e in quella cristiana no; abbiamo in altri testi spiegato i motivi storici che hanno portato all’abbandono graduale di tale prassi, ma San Gerolamo ricorda al cristiano che la sua perfezione non può essere da meno rispetto ai cammini indicati dalla spiritualità indiana. Concludiamo con un episodio biblico, citato da San Gerolamo, che ci ricorda il cibo che Dio stesso manda agli uomini attraverso i suoi angeli: “Elia, fuggendo Gezabele, giace stanco sotto una quercia, ed è svegliato da un angelo che viene da lui e gli dice: «Alzati e mangia». Egli guardò, ed ecco, vicino alla sua testa, un pane di spelta e una brocca d’acqua. In verità, Dio non poteva mandargli vino aromatizzato, cibi cotti con olio e carni battute?”[4] Certo, poteva, ma non lo ha fatto…Dio manda solo cibo che ha origine dall’amore e che all’amore ci riporta. San Gerolamo ci indica che dopo Gesù ognuno di noi può essere servito dallo stesso angelo, come accadde ad Elia.
Prof. Valentino Bellucci, 2010-03-06
[1] S. Gerolamo, Adversus Iovinianum, II, 7.
[2] Genesi, I, 29. La biologia moderna conferma che l’essere umano è per costituzione frugivoro.
[3] S. Gerolamo, Lettere, Rizzoli, Milano 2009, pag.457,459 e 461.
[4] Ivi., pag. 113.

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