di Rina Brundu. Mi perdoneranno gli irredentisti ma dopo vent’anni d’Irlanda non ho difficoltà a scrivere che la festa di cui al titolo è la più noiosa, la più insulsa, la più sopravvalutata del mondo, e non ho mai sentito di alcun “ospite” di lunga data dell’Isola Smeralda che la pensasse diversamente. Soprattutto tra gli italiani. Credo che molto abbia a che vedere col fatto che se si nasce in un paese che tra le tante “occasioni coreografiche” vanta il carnevale di Venezia e quello di Viareggio, assistere alla sfilata “povera” tricolore (tricolore irish, s’intende!), può significare sottoporsi a una una sorta di supplizio da inferno dantesco, or thereabouts.
Chiusi gli uffici, già ieri sera un esagerato odore di birra impregnava l’aria fuori dal portone di ogni pub centrale. Come non bastasse quest’anno il periodo festivaliero sarà più lungo del solito dato che la festa cade di martedì, per la maggior gioia dell’ufficio del turismo irlandese e dei turisti americani e italiani che raramente mancano l’appuntamento.
Than again, se si smette di concentrarsi sul dettaglio e l’occhio cade sulla Dublino vestita della sua bandiera, con il verde dei prati d’Irlanda che colora ogni angolo di strada, anche San Patrizio comincia a mostrare tutto l’innegabile fascino. Per meglio scrivere, lo stesso fascino celtico e immortale di questa piccola nazione unica, fatto essere dalla memoria della sua lunga storia, dalle gesta epiche dei suoi tanti eroi e improbabili dei, dalla fame, dalla carestia, dall’emigrazione, dalla spavalda rinascita, dalla ferma determinazione a resistere, a sopravvivere, dalla testardaggine. Dal profumo della terra.
Una terra che, non importa come la si pensi sulle sue feste pagane o religiose, sulla dichiarata passione per il booze degli abitanti, non smetterà mai di ammaliare il visitatore straniero e di tenere gli stessi irlandesi prigionieri di un incantesimo che vorrebbero non finisse mai, proprio come le loro serate al pub!
The Foreigner’s Guide to Irish Accents
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