Sangue del mio sangue
di Marco Bellocchio
con Pier Giorgio Bellocchio, Roberto Herlitzka, Alba Rorhewacher, Filippo Timi
Italia, Francia, Svizzera, 2015
genere, drammatico
durata, 107'
Il paradosso contemporaneo è tenuto in vita dall'illusione patinata che
ci sia ancora qualcosa di ciò che è stato, dimentico che quel "qualcosa"
cui si fa cenno è costituito per lo più da macerie. Cosa resta da fare,
allora: spremere l'illusione-finché-dura o raccogliere mestamente i
frantumi e tentare di riordinarli?
Marco Bellocchio,
in "Sangue del mio sangue", sembra evidentemente propendere per la
seconda opzione, mettendo a confronto due epoche diverse tra loro - i
giorni nostri si contrappongono al diciassettesimo secolo
dell'inquisizione stregonesca -. Narrazione, quindi, disseminata di
probabili accostamenti tra le due storie che, se sul piano prettamente
drammaturgico restano congetture immaginifiche di chi guarda - creando
un effetto quasi allucinatorio, anche grazie al lavoro fotografico di
Ciprì, che contrappone inquadrature a mo' di dipinti impressionisti
nelle sequenze ambientante nel '600 alla luce aperta e vuota della
farsa contemporanea - trovano invece un riscontro per nulla scontato
nella fase di elaborazione della visione. Ed è qui che accade una sorta
di miracolo, perché il giustapporre due storie all'apparenza opposte tra
loro - dramma in costume la prima, commedia odierna la seconda - si
rivela invece essere una sovrapposizione di due livelli che nemmeno
troppo paradossalmente combaciano tra loro; accade dunque che l'elemento
dominante del grottesco contemporaneo sia il naturale prolungamento
nevrotico del fallimento dell'umanità e il "progresso" ci viene mostrato
per ciò che è: l'illusione del movimento in una stasi millenaria.
Giunti
all'epilogo, si ripropone la stessa questione iniziale: cosa resta?
Bellocchio, con l'ultimo dei tanti slanci visionari del film, ci lascia
con un corpo di donna a camminare leggiadro sui nostri cadaveri.
Antonio Romagnoli