Sanità in Africa e altro ancora /Il dito nella piaga / Ma... non tutto è perduto

Creato il 10 marzo 2014 da Marianna06

  

Se ti ammali in uno dei Paesi dell’Africa, quale che esso sia, o che si tratti di contesto cittadino ben organizzato o che sia un contesto rurale, non sempre è agevole venire a capo in tempi brevi di quella che è una  corretta diagnosi e della conseguente guarigione.

E non è ciò che di solito s’immagina, che pure è realtà. E cioè che il tutto è strettamente legato  alla mancanza di strutture d’accoglienza idonee e  macchine e  farmaci non adeguati nonché di personale non abbastanza specializzato.

L’assenza di una sanità che sia rispondente ai bisogni è da collegare semmai a fattori economici, e cioè  alla scarsità di finanziamenti da parte degli Stati.

Essi, tenendo ben chiuse le casse, non erogano quanto necessita e non tengono in debito conto la salute delle popolazioni.

Come accade anche per l’istruzione.

Esistono le organizzazioni umanitarie internazionali,che forniscono medici e personale sanitario non del luogo, in genere proveniente dall’Europa e non solo, ma i loro interventi in prima persona cadono sopratutto nelle situazioni di emergenza.

In situazioni  correnti questo stesso personale forma e affianca semplicemente il personale medico locale. E si serve di quei sussidi, gli stessi, di cui dispongono  gli ospedali del posto.

Cambia la musica, ma leggermente, se in alcune città-capitali gli ospedali sono delle cliniche a pagamento. E, come non è difficile immaginare, i costi di degenza e anche quelli di un banale intervento schizzano alle stelle per persone, che stentano assolutamente a mettere insieme il pranzo con la cena. E nel continente africano,com’è noto, sono i più.

Pertanto off-limits.

Ritornando alle emergenze, quelle che di solito i “media” ci sbandierano in certi periodi particolari per poi tacere per sempre, abbiamo i programmi legati all’ACNUR (rifugiati), quelli del PAM (programma alimentare mondiale), quelli agricoli della FAO, quelli del Global Found, che segue l’Hiv, la tubercolosi e la malaria. Tutto buono naturalmente.

Essi attraverso figure professionali specifiche hanno il compito d’inculcare a chi intende essere ricettivo (e non sempre questa disponibilità si riscontra) stili di vita sani e prevenire in questo modo il diffondersi di epidemie e/o carestie.

In quest’ultimo caso si costruiscono piccoli orti gestibili con poca cura e funzionali nei momenti di difficoltà.

Naturalmente la cosa diviene complessa o impossibile quando oggettivamente sono in corso guerre o rivolte sociali, anche in considerazione di una complessa logistica  per poter raggiungere chi è lontano e, magari, più di altri in quel preciso momento è  bisognoso di aiuto.

Curare e essere curati adeguatamente non è facile in Africa, eppure ci sono molti volontari , laici e non, che si sono spesi e continuano a spendersi per questo.

Molte organizzazioni anche religiose (penso all’ospedale di Ikonda in Tanzania, sorto ad opera dei Missionari della Consolata di Torino,e non è il solo, penso a Chiara Castellani nella Rep. Dem. del Congo,una donna e un medico straordinaria, penso a Emergency di Gino strada nell’inferno del Centrafrica etc…).

Penso, però, essenzialmente al valore della Pace(valore imprescindibile) che, nell’Africa martoriata da guerre e povertà,una volta realizzata, risolverebbe tantissimo e consentirebbe per gradi alla gente di costruirsi un futuro politico e sociale senza più despota e tiranni, camuffati da “padri” benevoli.

Mi piace ,allora, immaginare possibile un tale cambiamento, anche se su tempi lunghi, in quanto l’Africa e la sua gente hanno ormai desiderio di prendere in mano il  futuro  e non più demandarlo ad altri.

I segnali positivi  a mio parere ci sono, nonostante i piagnistei dei detrattori e  persino al di là  dei rapporti e delle statistiche rispondenti o menzognere che siano. E sono soprattutto le donne , le donne africane, le mamme,che fanno sperare bene.

  

     Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

       


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