di Rina Brundu. L’ho capito in ritardo, colpa mia: a volte sono lenta! Meglio ancora, l’ho capito stamattina ascoltando una delle tante “edicole” televisive che, tra un servizio agiografico di Mollica e l’altro, ha finanche proposto quanto scritto da un giornale a proposito della performance di Conchita Wurst, la quale performance sarebbe stata relegata da Conti, o da chi per lui, alle ore piccole per permettere alle famiglie di mettere “a letto i più sensibili”. Per inciso, la predica viene dallo stesso pulpito dove, nel corso della prima serata, si è fatto un grossolano spot contro le figliate stile conigli messe recentemente in discussione dallo stesso Papa Francesco.
Mi riesce davvero difficile commentare tutto questo. Per motivi diversi. Da un lato perché mi torna presto alla mente l’entusiasmo degli irlandesi di ogni età per quest’ultimo Eurofestival stravinto da Conchita (paradossalmente la performance di Emma in quella stessa occasione è metro oggettivo della distanza culturale, in senso lato, che esiste tra questi due spettacoli dedicati alla musica leggera), dall’altro perché ho ancora davanti agli occhi la bellezza di questa cantante austriaca, di questo essere davvero speciale. Una bellezza che non si limita all’epidermide ma si intuisce dello spirito. Di converso, difficile dimenticare l’apologia del nulla che è stata perpetrata in questi giorni da un numero davvero eccessivo di fonti mediatiche ad uso e consumo di segmenti popolari le cui opzioni di entertainment di qualità risultano sempre più limitate. Difficile dimenticare le esibizioni di cattivo gusto che abbiamo dovuto “subire” e “pagare”, all’insegna del provincialissimo motto “cornuti e mazziati”. Includo tra queste “esibizioni” le interviste di Conti alla Theron e alla stessa Conchita e, tra le altre, il modello-Italia che “promuove” nel mondo il gruppo de “Il volo”; fermo restando che il verbo “promuovere” è forse esagerato dato che fortunatamente il mondo non fa equazione con Little Italy. Il tutto mentre il dubbio che non esista alcun valido comitato etico che dirima sulla bontà dei “valori” che trasmettono questi programmi, diventa certezza.
Da questo punto di vista serve naturalmente mettersi d’accordo su cosa sia un “valore” da preservare, su cosa sia educativo e formativo e su cosa non lo sia. Ecco, per quanto mi riguarda è fortemente diseducativo creare modelli per i più piccoli – per i più “sensibili” appunto – che promuovono la discriminazione di genere, che propongono visioni falsate della bellezza del mondo, della sua varietà umana ed emozionale. Costringerli dentro campane di vetro che una volta rimosse porteranno secco infiniti problemi e infinito dolore, nonché quelle azioni “indegne” di cui purtroppo leggiamo ogni giorno tra le pagine dei giornali. Soprattutto costringerli nel “ghetto” intellettuale dei “not-up-to-speed” che – ci piaccia o meno – creerà la società dei nativi-digitali sooner rather than later.
Ne deriva che per quanto mi riguarda il Festival di Sanremo 2015 finisce qui. Tuttavia, non potrei chiudere senza prima fare il necessario mea culpa. Di fatto, io ho sbagliato! Ho un sito, un blog che è visitato da tante persone valide, persone mature, ragazzi, giovani scrittori, ma per il solo motivo che sovente si occupa di tematiche molto “mediatiche”, mi sono “costretta” a “seguire” uno spettacolo che non mi piaceva e di cui non sposo né la deontologia né il target ideale. E a mio scusante non è neppure sufficiente la giustificazione che l’ho sempre fatto in chiave satirica. Diceva Ludwig Wittgenstein: “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”, come a dire che lui era senz’altro meno lento ma la cosa non mi stupisce.
Featured image, a most beautiful painting of Wittgenstein, author, Christiaan Tonnis, source Wikipedia.