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Santa colomba brut, charmat alpino

Da Trentinowine
SANTA COLOMBA BRUT, CHARMAT ALPINO

Ieri sera, dopo aver scritto il post Santa Colomba, la via democratica al vino, questa bottiglia finalmente la ho stappata in buona compagnia. Eravamo in quattro, insieme a me anche il vignaioloAlbino Martinelli, dell'omonima azienda agricola di Ala e anch'egli charmantista ( D&D), e due avventori casuali che si sono aggiunti al tavolo, incuriositi dalle nostre chiacchiere sulle prospettive dei vitigni resistenti.
Il giudizio non è stato unanime. Diciamo tre a uno a favore del Santa Colomba Brut. Chi lo ha bocciato, lo ha trovato troppo acido ed eccessivamente secco. Un giudizio di (s)piacevolezza e di non corrispondenza alle attese rispetto a ciò che ci si aspetta da uno Charmat, per il quale ormai sono dominanti come riferimento paradigmatico le piacevolezze extradry del Prosecco.

SANTA COLOMBA BRUT, CHARMAT ALPINO

Le stesse caratteristiche, il modesto residuo zuccherino e una certa aggressività acida, sono le caratteristiche che, invece, sono piaciute, molto, a me. Il vino - da uve Bronner e Solaris, gli incroci resistenti di Friburgo - si presenta di un colore paglierino non troppo carico e con qualche velatura verdognola. Il perlage è buono, spumoso, elegante e continuo. Il naso ci impiega un po' di tempo ad esprimersi completamente dopo l'apertura della bottiglia, ma poi ha il vantaggio di essere persistente, di non sgretolarsi subito come capita spesso con questa tipologia. E' complesso, molto pulito. I lieviti si mescolano bene a sentori vegetali un poco pungenti, ma senza disturbare.
In bocca, che è poi quel che conta di più, è scattante, si impenna subito e si fa sentire. L'ambizione del Brut dichiarata in etichetta si esplica potentemente in bocca, lo slancio verticale è aggressivo e si sviluppa fra le componenti vegetali aromatiche (salvia) e quelle agrumate e quasi citriche. La chiusura risulta un po' violenta e leggermente ammandorlata. Forse il tutto risulta ancora un po' slegato e il vino ha bisogno ancora di un po' di riposo - queste sono bottiglie test e non ancora in commercio -, come ha suggerito qualcuno di noi quattro. Ma la materia e la polpa ci sono e ne fanno un bel vino spumante, che potrebbe dare una pista a parecchi metodo classico base in circolazione - lo so, lo so che non si fanno queste comparazioni, ma questa volta il confronto mi è venuto naturale -. Nella scheda tecnica - che dichiara un residuo zuccherino pari a 5,5 g/l e un'acidità totale pari a 6,5 g/l e una resa ettaro di 90 q. su coltivazione a guyot - lo si definisce uno spumante alpino. E lo è. Questo vino è quello che ti immagini possa essere uno spumante di montagna: rigoroso e senza fronzoli.
Un paio di note in conclusione: non sarà questo vino ad impensierire il Prosecco - ma non credo sia questo l'obiettivo di alcuno -, perché si tratta di stili completamente differenti, ma il Santa Colomba Brut, questo sì, potrebbe indicare una strada all'utilizzo di alcune varietà resistenti. Per ora ancora confinate ai margini delle coltivazioni trentine e ai margini dei disciplinari di produzione. Oltre a dimostrare, ai trentini, che anche lo Charmat ha una sua dignità e che non è per nulla un vino di seconda fila. Da tenere quasi nascosto nel retrobottega, come si fa ora, per non sporcare l'eterea mitologia del Metodo Classico.

SANTA COLOMBA BRUT, CHARMAT ALPINO

Nacque a La Fratta nella seconda metà del XIII secolo, oggi nel comune di Sinalunga (SI). Figlio del conte ghibellino Tacco di Ugolino e di una Tolomei e fratello di Turino, era un rampollo della nobile famiglia Cacciaconti Monacheschi Pecorai, e insieme con il padre, il fratello e uno zio commetteva furti e rapine, nonostante la caccia che gli veniva data dalla Repubblica di Siena. Una volta catturati, i membri maggiorenni della banda vennero giustiziati nella Piazza del Campo di Siena, mentre Ghino e il fratello si salvarono grazie alla loro minore età. Rifugiatosi a Radicofani (SI), una rocca sulla Via Cassia, al confine tra la Repubblica di Siena e lo Stato Pontificio, Ghino continuò la sua carriera di bandito, ma in forma di "gentiluomo", lasciando ai malcapitati sempre qualcosa di cui vivere. Boccaccio, infatti, lo dipinge come brigante buono nel suo Decameron parlando del sequestro dell'abate di Cluny, nella II novella del X giorno: Ghino di Tacco piglia l'abate di Clignì e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa e fallo friere dello Spedale. Dante, invece, gli concede un posto tra i personaggi citati nel sesto canto del Purgatorio della sua Divina Commedia, quando parla del giurista Benincasa da Laterina (l'Aretin), giureconsulto a Bologna, poi giudice del podestà di Siena, ucciso da un fiero Ghino di Tacco.


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