Abbiamo la nostra Giovanna D’Arco, la nostra eroina. Quella che ci meritiamo e che ci fa giustizia. E non potremo mai rendere abbastanza merito a chi le ha dedicato una statua pur non sapendo che un giorno avrebbe rinunciato a Sanremo pur di non giacere col premier assieme ad un’altra starlette.
C’è da rimanere allibiti di fronte al coro di sollievo di un Paese che annega nella corruzione e che si aggrappa al gran rifiuto di Manuela Arcuri, di fronte all’ingenuità o alla falsa ingenuità con la quale si insegue disperatamente un segnale di virtù nel naufragio morale, politico ed economico del Paese. Nel maelstrom in cui gli spread si mischiano al pelo e la macelleria sociale ai ricatti, ci si è dimenticati che questa donna bella, ma non memorabile, non era certo estranea alle cene di Arcore o di villa Certosa, non si sottraeva al compito di orpello del potere in tutte le sue forme e rivoli. Solo è abbastanza navigata e intelligente da capire che un millantatore bugiardo come Tarantini è disposto a far balenare qualsiasi cosa pur di servire il capo ed ottenerne i favori. Mentre il capo stesso non raramente millanta egli stesso cose che non manterrà mai.
Per carità, ha fatto benissimo a dire di no, ma viste le circostanze e l’esperienza dell’ambiente si sarebbe trattato di accettare un rapporto spiacevole e compromettente in cambio di un pagherò di provenienza sospetta. Magari avrebbe detto di no in ogni caso o magari di sì, di fronte ad offerte più consistenti, non ne ho la più pallida idea. Ma da questo a farne la madre dei Gracchi ce ne passa.
Siamo così affannosamente alla ricerca di un qualche segno di riscatto che ci attacchiamo a tutto, siamo così consapevoli dell’appeal che il potere suscita anche in noi che ormai facciamo santa subito una che non è zoccola subito. Diciamo che, come da vent’anni a questa parte, ci accontentiamo facilmente.