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Santa Marina di Miggiano

Creato il 25 giugno 2013 da Cultura Salentina

Santa Marina di Miggiano

25 giugno 2013 di Vincenzo D'Aurelio

Interno della struttura

Muro Leccese, Chiesa di Santa Marina di Miggiano, affresco del XVI sec. con la Vergine di Costantinopoli

Poco fuori dall’abitato di Muro Leccese, a circa un chilometro, procedendo verso ovest lungo la strada che conduce a Scorrano, si può scorgere sulla sinistra una piccola deviazione. Addentradoci lungo questa tortuosa, ma ben percorribile, stradina si penetra per poco più di 600 metri sino a giungere di fronte ad un crocevia (siamo sulle coordinate 40°05’41.27” Nord – 18°19’43.60” Est).

Tra amene campagne disseminate tutte intorno da alberi d’ulivo sorge, su di un bivio, un’antica chiesetta greca intitolata a Santa Marina di Miggiano. La titolazione può trarre in inganno perché, recenti studi condotti dall’Università del Salento, hanno supposto che il titolo alla Vergine sia databile attorno al XVIII sec. essendo essa così nominata ufficialmente solo nelle visite pastorali del Settecento.

Casi di questo genere, aggiunge la dottoressa Giulia Rella autrice del bellissimo saggio dal titolo Santa Marina di Miggiano una storia da scrivere, sono tipici nel Salento e proprio in Muro esiste un’altrachiesa di Santa Marina la cui titolazione originale fu quella di San Nicola di Myra. Pare anche abbastanza difficile formulare una datazione precisa della struttura ma l’utilizzo di conci regolari e l’utilizzo di un particolare tipo di malta fanno pensare ad una datazione molto prossima al XII-XIII sec.

La chiesa si presenta in unica navata ma a causa di numerosi crolli sono stati effettuati degli interventi di recupero strutturale successivi, ultimo probabilmente quello del 1702 come testimonia una incisione sul portale di un accesso che collega la chiesa ad un altro ambiente.

Ciò che maggiormente colpisce il visitatore è la complessità dei cicli pittorici che si distribuiscono su tutte e quattro le facciate interne della Chiesa. Senza addentrarci troppo nelle datazioni e nelle analisi pittoriche, che ben descritte dalla citata dottoressa Rella potrebbero tuttavia essere molto variabili, è certo che l’intera opera pittorica rifletta un periodo molto ampio che partirebbe dal XIII sec. sino a giungere al XVIII sec.

Per questo largo intervallo l’osservatore assiste, quasi ipnotizzato, al passaggio da una pittura fortemente di stile greco ad una pittura più occidentale e più latina. Si tratta di quel momento storico-religioso in cui nel nostro Salento iniziò la decadenza della liturgia greca sostituita da quella latina e che si concluse poi definitivamente attorno al XV-XVI sec.

Esempi eccezionali sono gli affreschi del sottoarco, che divide la navata in zona sacra e in zona destinata ad ospitare i fedeli, in cui sono rappresentati, in totale assenza di prospettiva, le figure di San Euthimio e di San Filareto di Siminara oltre ad altri santi eremiti che appaiono qua e la nelle facciate esterne dello stesso arco.

Voltando lo sguardo all’altare invece assistiamo all’esplosione del latino: un San Francesco, un Sant’Antonio da Padova, gli Arcangeli e nel bel mezzo la Vergine di Costantinopoli che domina una scena di una chiesa greca in fiamme.

La cosa più avvincente, e che ancor meglio descrive questo altalenarsi di figure latinizzanti con quelle grecizzanti, è proprio nell’angolo destro dell’altare dove, San’Antonio da Padova, è raffigurato su una parte di affresco dalla quale si affaccia, facendo l’occhiolino, un molto più antico San Nicola di Myra. Questo ciclo di pitture di Santi e Arcangeli fanno probabilmente parte dell’ultimo ciclo pittorico e infatti il dipinto dell’Arcangelo Gabriele è datato dall’artista nei primi anni del Settecento. Anche la Madonna di Costantinopoli sembra esser stata ridipinta ma la stessa pare aver mantenuto il significato originario e cioè quella di essere stata la salvatrice della distruzione di una chiesa data alle fiamme. Notevoli potrebbero essere le somiglianze con la stessa chiesetta murese ma questa è solo una mia ipotesi.

Quest’affresco porta la data dei primi del Cinquecento ma la parte bassa destra mostra chiari segni di una scrittura greca ancora non letta dagli archeologi. Soffermandoci ancora un poco davanti a questo splendido dipinto, non si può non notare un muretto frontale, che si discosta circa un metro dall’affresco, sul quale è stato rappresentato un bellissimo roseto in toni giallo, blu e rosa proprio ad indicare quel roseto emblema e simbolo della Vergine particolarmente tipico della cultura latina.

Se ci spostiamo in fondo alla parete sud, cercando di non fare caso a quanti altri santi qua e la compaiono, la nostra attenzione si posa su un ciclo cristologico di cui si possono ben osservare due momenti: l’entrata di Gesù a Gerusalemme e l’Ultima Cena in cui Cristo è la prima figura e a seguire, in angolo, gli Apostoli.

Entrambe le figure sono molto rovinate, ma è impossibile non incantarsi di fronte alla bella rappresentazione dell’asino bianco che porta il Cristo, oppure notare un omino che si arrampica sull’albero di palma per raccoglierne le cime!

Nella parte bassa della parete nord appare invece un ciclo mariano e poco si intravede, ma pare esserci, una Presentazione di Maria al Tempio e una Ascensione, o meglio un dormitio Virginis, dove il viso fioco di un apostolo rende la tragicità della scena grazie a una piccola lacrima che gli scende sotto l’occhio.

Potremmo continuare a parlare di questi dipinti, ma nessuna parola potrebbe descrivere la sensazione e l’effetto che produce questo complesso pittorico sulla propria anima ed è necessaria una visita per rendersi conto di questo piccolo olimpo di storia salentina.

L’occhio attento non può far a meno di notare che in molti punti delle pareti, e persino sugli affreschi, appaiono delle incisioni fatte con punte rozze che spesso riportano frasi del tipo:

“A 30 Aprile 1657 fui dentro questa Chiesa. Jo Gregorio Melorgio di …”.

Sono davvero numerose per essere considerate solo frutto di qualche uomo che per sue velleità volesse incidere nella pietra quella visita. Se facciamo mente locale, la Chiesa sorge su un crocevia molto diramato che va in direzione di Scorrano, di Botrugno, di Muro e altre strade, certamente antichissime e forse tratturali. Questo fa presupporre che il luogo fosse un punto molto conosciuto della zona e che quel Gregorio Melorgio fosse uno di quei tanti pellegrini, commercianti, o un semplice viaggiatore, che in questo luogo aveva posto una tappa fondamentale del suo cammino.

Questo tipo di chiese, che diventavano soste obbligate per i pellegrini, non è cosa rara nel Salento e basti pensare alla Chiesetta di Sant’Isidoro nel feudo di Maglie posta sull’antichissima via dell’olio (coordinate 40°07’41.75″ N – 18°16’24.83″E), dove l’epigrafe recita DIVI ISIDORI EANC AEDEM VENERARE VIATOR ET SIC PROPITIUM PROGREDIER ES ITER. A.D. 1734.

Credo dunque che dopo l’analisi pittorica e dopo i recenti scavi archeologici che hanno portato alla luce sepolture di monaci, si renda necessario anche uno studio di queste incisioni dalle quali si potranno facilmente evincere i luoghi di provenienza dei pellegrini, il numero di visitatori nei vari anni e, chissà, se non anche lo scopo per il quale passavano da qui. Il resto lo farà la nostra immaginazione per la quale sentiremo ancora le loro voci e vedremo i loro volti come in un fotogramma di vita vissuta attorno a Santa Marina di Miggiano la cui storia, come dice Giulia Rella, è ancora da scrivere.

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