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Sante o Buttane? No, Donne.

Da Bambolediavole @BamboleDiavole

Non è mai certo chi compia il primo passo verso l’inizio della relazione amorosa che poi nascerà. Il lettore o il libro? Chi chiama chi? O forse la soluzione sta nelle celebri parole di Dante: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona” e, quindi, ci si sceglie reciprocamente, in una corrispondenza di amorosi sensi.

Il conto delle minneIl conto delle minne

Durante la lettura de “Il conto delle minne”, celebre romanzo di Giuseppina Torregrossa incentrato sul rapporto fra i sessi in una Sicilia analizzata nel corso del fluire delle generazioni, mi sono imbattuta in un racconto, intitolato “La guerra di Piera”, scritto da Silvestra Sorbera, che ha notevoli punti di contatto con il libro citato per primo. I fogli di carta, i pensieri e l’osmosi fra religione e superstizione si sono mescolati, come lo zucchero e la ricotta nella preparazione del celebre dolce catanese, le minne, appunto.

Le protagoniste si chiamano, rispettivamente, Agata e Piera.

Entrambe sono figlie di una terra di calore, emanato dalla forza del sole e dall’impeto della passione; entrambe sono donne che hanno conquistato, tramite l’istruzione, una propria indipendenza, infrangendo ruoli antichi; entrambe giocano in una battaglia di screzi amorosi in cui sono destinate a scoprirsi vittime, consapevoli di esserlo, ma pur sempre tali; entrambe subiscono mortificazioni fisiche della propria femminilità negli attributi sessuali che le – e ci -distinguono; entrambe devono trovare un compromesso fra l’essere “santae l’essere “buttana.

La guerra di Piera
La guerra di Piera

Un compromesso impossibile: la “santa” sarà cornificata, ritenuta poco “femmina” e, quindi, non moglie degna di rispetto, perché anche il “no” è un affronto; la “buttana” sarà destinata ad essere additata, emarginata anche dalla propria famiglia d’origine, destinata a nutrirsi di briciole d’amore e a gravare perfino sulla reputazione delle proprie figlie.

Entrambe, infatti, la “santa” e la “buttana”, sono modelli stereotipati creati dal maschilismo che del dogma della “Vergine Maria” si è subdolamente servito per far sentire tutte le donne inadeguate, in quanto paragonate ad una creatura irraggiungibile, e colpevoli dei propri sani istinti che non hanno valore nel destino tracciato da penne di maschi. E questo non solo in Sicilia, mi pare scontato, ma lo ricordo.

Eppure Agata e Piera, se pur in modo diverso, sapranno riscattarsi.

Sapranno tenere la testa alta e il petto in fuori.

Sapranno colmare voragini con la dignità di essere se stesse, eredi di nonne e madri forti da sempre, pilastri marmorei della famiglia e della società, femmine de panza, capaci di non lamentarsi, ma di agire, con coraggio, affrontando tutto senza perdere accoglienza e dolcezza.

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Sapranno restare Donne in un mondo che non le vuole con l’iniziale maiuscola, per non far troppa ombra a “uomini”, scritti in corsivo minuscolo e fra virgolette, che non hanno colpa delle proprie azioni, perché, per indole naturale e socialmente accettata, cedono, sedotti, al potere lascivo delle figlie di Eva, cagione di peccato.

Il romanzo della Torregrossa abbraccia varie epoche, il racconto della Sorbera si sofferma, invece, sugli anni Settanta. E non è un caso. Il femminismo di allora è stato una guerra: ora è tempo di pace, schierandosi non contro, ma con gli Uomini, per il futuro dell’umanità.

Emma Fenu

 Bibliografia:

Giuseppina Torregrossa, Il conto delle minne, Mondadori, 2009.

Silvestra Sorbera, La guerra di Piera, Lazy Book, 2015.


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