Il cantautore, compositore e pianista Luigi Friotto originario di Lanciano (Chieti) ha alle spalle un lungo percorso musicale formativo svolto negli ultimi anni confrontandosi soprattutto con la scuola ligure, che ha ispirato e nutrito la sua creatività, già nota a molti, grazie ai meravigliosi spettacoli di musica e danza sull’acqua su surreali zattere adagiate lungo la costa dei Trabocchi o realizzati tra le magnifiche gole e alture d’Abruzzo. SANTOFUOCO è il suo primo inedito. Dice il cantautore a proposito di questo suo inedito: << Santofuoco è una catarsi comico – drammatica. Una Santa Inquisizione fantasiosa arrivata con molti secoli di ritardo e con più ragioni di allora. Si tratta di muoversi in un ballo incendiario che castighi e accantoni gli uomini buffi del potere arrogante ed altresì i loro comunissimi insignificanti dispepoli. Genti grette che fagocitano la bellezza, pezzo dopo pezzo, con in bocca il deliberato motto del “mors tua vita mea”. La Storia inorridisce. Santofuoco brucia, passo e contrappasso: vita mea mors tua >>.
Francesca Rita Rombolà e Luigi Friotto hanno conversato un pò.
D – Ciao, Luigi, il tuo video clip è piuttosto interessante. Dal punto di vista estetico mi sembra si avvicini ad una certa perfezione: le scene sono ideali, il ballo è davvero indicato. Parlane un pò.
R – Ho un amico. Si chiama William Di Paolo. Vive altrove. Arriva l’estate anche per lui però e le sue vacanze diventano un’autentica officina di idee. SANTOFUOCO è il terzo capitolo di questa amicizia. Io ci metto le canzoni, lui me le contesta un pò, tace a lungo, comincia a suggerirmi delle immagini, ci penso anch’io, dico la mia – la sua vince sempre – e a mò di carovana, accompagnandoci ad altra gente sprovveduta, cominciamo a girare. Girare alla ricerca di luoghi e suggestioni. Poi cominciamo a girare finalmente: dalla telecamera stavolta. Con SANTOFUOCO bisognava raccontare un ballo purificatore, ci volevano giri e passi, e avvolgimenti, e fuochi pensati oltre che veri. I ballerini si prestano increduli. Li portiamo dapertutto, rigorosamente al tramonto. A sera la carovana si riavvia verso casa. Di notte il piccolo film diviene un paziente lavoro di artigianato. William è il capo di bottega. Io una sorta di garzone.
D – SANTOFUOCO è una catarsi comico – drammatica, così ti esprimi per questo inedito. Può essere comica la catarsi? In genere è sempre solo drammatica.
R – E’ drammatica nel modo. E’ un fine che giustifica il mezzo: la punizione è traumatica e brucia arroganti e ignoranti in una sorta di girone dantesco. Sono spiriti inetti, rifiutati addirittura dall’Inferno e lasciati alla Storia. E la Storia la stanno facendo purtroppo loro. Li vedi camminare a braccetto con gli occhi tronfi e le mani in pasta. Sono talmente buffi da rendere comico anche il rogo della loro “dubbia” salvezza: sdrammatizzano almeno il dramma che sono per loro stessi.
D – Cosa ne pensi dei politici italiani e del Potere in questo momento di “oscurantismo” della storia italiana?
R – Sarebbe doveroso appellarsi al quinto emendamento e parlare del clima. Parliamo del potere con la lettera minuscola: mi sembra una buona premessa. Anni fa, su “Utopia” di Thomas More, mi rimase impressa una metafora tratta dalla Repubblica di Platone. Questi paragonava i politici a gente che corre in strada infradiciandosi sotto un acquazzone. Il politico, inizialmente buono e al coperto dalle intemperie, esce in strada per convincere gli altri a rientrare all’asciutto e finisce per restare inzuppato miseramente. Io credo che ci sia una vitale necessità di silenzio e di connivenza a “palazzo”, pena il disgregamento di uno status volto a conservare se stesso e null’altro. Non voglio dire che non esistono politici buoni: è che sono soffocati e ricattati dalla marmaglia. In SANTOFUOCO ho cercato di abbandonare la retorica e di evitare il consueto e fin troppo semplice esercizio di molti: parlare male dei potenti. Ho voluto ricordare che il malcostume non è un’invenzione della politica ma è il risultato di un’osmosi tra le arroganze dei potenti e le ignoranze dei loro adepti. E gli adepti sono persone comunissime, di tutti i giorni, non esseri trascendentali. Penso che l’Oscurantismo italiano sia cominciato già nel secondo dopoguerra; l’incubazione di questo disfacimento, scoppiato nei tempi più recenti, è antica. L’aggravante attuale? La spudoratezza. Si fa tutto alla luce del giorno senza il minimo imbarazzo per chi sta a guardare. Le minoranze, quelle che forse hanno capito quale balsamo sia la bellezza delle cose, sono sempre più risicate. Le maggioranze, quelle che hanno capito quanto sia più comoda la sopraffazione, affollano i tempi nostri e di quelli che verranno. L’unica religione possibile resta la vergogna.
D – Mi è parso di capire che nella tua formazione musicale hanno avuto un peso rilevante i cantautori di scuola ligure. In SANTOFUOCO si riscontra una certa influenza musicale del primo De Andrè. E’ così?
R – La cosìddetta scuola genovese resta indubbiamente un vessillo onorevole per molti. Anche per me. Le ossa diventano forti però quando la rottura si crea non con i De Andrè, i Tenco, i Lauzi ma con l’esibizione di un’intellettualità rabberciata e di fortuna: “De Andrè era un poeta!” vanno ripetendo. Una considerazione il più delle volte modaiola e povera di argomentazioni. E se De Andrè fosse un poeta, partendo dal presupposto che nemmeno lui amasse definirsi così, non vorrebbe probabilmente essere ricordato per le mode o per le sue canzoni che troppi si ostinano a ricelebrare e addirittura a parafrasare con una fantasia a volte imbarazzante. Mi dispiace che Fabrizio De Andrè sia diventato una moda post mortem. Quanto a SANTOFUOCO io non so definire quali siano i meriti o i demeriti di questa pregressa influenza; nello specifico, se dovessi accettare un paragone, con tutte le debite proporzioni del caso, penserei ad una vicinanza di tematiche. Non sono il primo nè sarò l’ultimo a parlare delle aberrazioni del potere e dei suoi sottoprodotti. Musicalmente parlando, non riconosco in SANTOFUOCO alcuna influenza di De Andrè.
D – La Letteratura, in genere; la Poesia, in particolare, che posto occupano nella tua vita? Quanto e perchè le ritieni importanti ancora oggi?
R – Poesia e Letteratura sono silenti e quotidiane compagne che a tratti emergono prepotentemente e mi costringono a sentirmi piccolo. Mi permetto di rettificare la domanda: non sono importanti ancora oggi ma soprattutto oggi. L’uomo che in sè custodisce grazia e orrore come figli sbagliati dello stesso grembo, prestato ai massacri o assorto a lenire il dolore degli altri prima che il suo, quest’uomo equivoco ha bisogno di contemplare le parole, e la Poesia in generale, non per guarire come i poeti e l’umanità tutta vanno sperando da secoli, ma quantomeno per riconoscere la sua natura paradossale, accettarla come dato universale è forse intuire che la traversata è una soltanto e che sarebbe il caso di non disperderci e imbruttirci.
Grazie
Francesca Rita Rombolà