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Sanzioni alla Russia: gli orbi di Washington e i ciechi di Bruxelles

Creato il 19 marzo 2014 da Albertocapece

Ucraina, ciechiA vedere la Merkel che gioca col telecomando con i premier italiani, parrebbe di trovarsi di fronte a un potente e sagace statista. Ma proprio in queste settimane la cancelliera ha messo in luce i suoi limiti, assieme a quelli di una elite europea di infima qualità che in fin dei conti sta affossando l’idea dell’unione continentale con la sua inadeguatezza. Eh sì perché vedere la povera Angela in preda all’angoscia fa un po’ pena: ha creduto all’amico americano che le ha venduto l’avventura ucraina come una passeggiata e a un Putin che non avrebbe reagito. Erano balle che potevano anche convincere un americano, ma che un europeo avrebbe dovuto sgamare fin da subito: così adesso la cancelliera si trova ad essere trascinata in un confronto con la Russia da cui la Germania compra il 35% del proprio gas e che costituisce il mercato di sbocco del 5% delle proprie esportazioni. In complesso l’Europa esporta in Russia per 230 miliardi euro con un attivo di 80 miliardi (vedi nota sull’Italia*).

Così Frau Merkel,mentre da una parte appoggia il governo golpista sostenuto da truppe paramilitari di stampo nazifascista oltre che  da “contrattisti “venuti direttamente dagli Usa e deve far buon viso alle giustificazioni grottesche che vengono da oltre atlantico , dall’altra si rifiuta di escludere Mosca dal G8, (sai che paura) e si rende conto che le eventuali sanzioni sono un solletico per zar Vladimiro, che anzi se mettono in difficoltà qualche oligarca, lo avvantaggiano pure.  E’ anche per questo che nei giorni scorsi Kissinger, l’immortale modello del dottor Stranamore, visto anche che in una vita intera non è riuscito a perdere l’accento tedesco, ha parlato di dilettantismo e idiozia delle elite occidentali nel mettere a punto un golpe quando sarebbe stato molto più fruttuoso agire in altri modi.

Questo perché l’economia russa si basa sulle materie prime e non certo sulla finanza e le famose sanzioni rischiano di ottenere un effetto del tutto contrario: vale a dire rendere più stringente un raccordo stretto fra i giganti emergenti, in primis la Cina che ormai si sente minacciata dagli Usa per interposto Giappone ma anche il Brasile che teme le manipolazioni politiche made in Usa e pure l’India con cui esiste già uno stretto rapporto di interscambio di tecnologie militari, tanto che il prossimo caccia di quinta generazione ( che vola benissimo, al contario dell’F35) sarà costruito congiuntamente. In concreto la vicenda Ucraina potrebbe dare avvio non solo a una nuova guerra fredda, ma a uno scambio di merci e materie prime tra grandi Paesi che bypassano il dollaro e che naturalmente rischia di estendesi pian piano a molte altre aree con un effetto domino. Un arma temibile perché è evidente che la centralità e prosperità dell’economia Usa è in gran parte legata al ruolo del dollaro come moneta universale e “obbligata” del commercio mondiale: se questo venisse meno la divisa statunitense dovrebbe fare i conti con l’economia reale  e arrendesi alla dure necessità di un Paese normale.

Inutile illudersi, la vicenda Ucraina aperta con tanta superficialità  durerà molto a lungo, diventerà una zona di frizione, una piaga permanente sempre pronta ad esplodere. Ma essa apre anche uno squarcio sulla mediocrità della governance europea rivelatasi inadeguata a perseguire una visione autonoma rispetto agli Usa, ma soprattutto ormai insensibile agli ideali di democrazia, se non nel grottesco formato mediatico e da esportazione. In un certo senso se con la crisi economica la Ue si è dimostrata la longa manus della finanza e di alcuni interessi nazionali, ora dimostra di essere poco più di una carta carbone della Nato, tradendo al tempo stesso i propri ideali e gli interessi dei suoi cittadini.

* Dalla Russia importiamo il 30 per cento di gas e petrolio, con un import (dati 2013) di 32,6 miliardi e un export di 13,4 miliardi. Tuttavia il mercato russo è in forte espansione e nell’ultimo anno il nostro export è aumentato del 25%, tanto che il nostro Paese è divenuto il quarto partner commerciale del gigante russo. Senza contare gli investimenti di Mosca nella penisola arrivati nel 2013 a 366 milioni.  Ora tutto questo può essere messo in forse dalle sanzioni. 


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