Magazine Diario personale

Sapere di cose vive

Da Icalamari @frperinelli

(un augurio)

Sapere di cose vive

“A tutti quanti capita lo stesso, la statua di Giano è un lusso inutile, in realtà dopo i quarant’anni la vera faccia la teniamo nella nuca, e guarda disperatamente indietro. È ciò che si chiama propriamente un luogo comune. Niente da fare, bisogna dirlo così, con le parole che fanno torcere di noia le labbra degli adolescenti unifronte. [...]

È triste giungere ad un momento della tua vita in cui è più facile aprire un libro alla pagina 96 e iniziare un dialogo con il suo autore, da caffè a tomba, da annoiato a suicida [...]

Il guaio consiste nel fatto che la naturalezza e la realtà sono diventate non si sa come nemiche, c’è un’ora in cui ciò che è naturale suona spaventosamente falso, in cui la realtà dei vent’anni si affianca alla realtà dei quaranta e al fianco di ciascuno c’è una gillette che ti taglia la giacca. Scopro nuovi mondi simultanei ed estranei, sospetto sempre più che mettersi d’accordo è la peggiore delle illusioni. Perché questa sete d’ubiquità? Perché questa lotta contro il tempo? [...]

L’oggi mi appassiona ma sempre dall’ieri [...]

Bisogna lottare contro tutto questo.

Bisogna insediarsi nuovamente nel presente. [...]

Ci son fiumi metafisici. Sì, cara, certo. E intanto tu starai curando tuo figlio, piangendo ogni tanto, e qui è già un altro giorno e un sole giallo che non scalda. [...]

Ma oramai non posso parlarti di queste cose, diciamo che è tutto finito e che io sto vagando da queste parti, girando, cercando il nord, il sud, ammesso che li cerchi. Ma se non li cercassi, ebbene? (Omissis)

- Toi, – dice Crevel, – toujours prêt a grimper les cinq étages des pythonisses faubouriennes, qui ouvrent grandes les portes du futur… [...]

- Tu t’accrocches à des histories, – dice Crevel. – Tu étreins des mots

- Niente affatto, mio caro, son cose che si fanno piuttosto dall’altra parte del mare, che tu non conosci. È da un bel po’ che non vado a letto con le parole. Continuo a servirmene, come fai tu e come tutti, ma le spazzolo moltissimo prima di mettermele.

Crevel è diffidente, e lo capisco. Fra la Maga e me si alza un canneto di parole, ci separano appena alcune ore e già la mia pena si chiama pena, il mio amore si chiama il mio amore… A poco a poco soffrirò sempre meno e ricorderò sempre più [...]

Inutile, condannato ad essere assolto. [...]

Giudice inaudito, giudice per grazia delle sue mani, delle sue corse in mezzo alla strada, giudice perché mi guarda e mi lascia ignudo, giudice perché balorda e infelice e disorientata e ottusa e men che niente. [...] son pronto a quel patibolo su cui mi fan salire le mani della donna che cura il figlio suo, presto la pena, presto l’ordine falso di essere solo e di ricuperare la sufficienza, la egoscienza, la coscienza. E con tanta scienza un inutile desiderio di aver compassione di qualcosa, e che piova qui dentro, che finalmente cominci a piovere, a sapere di terra, di cose vive, sì finalmente di cose vive.”

[Julio Cortazar - Rayuela , Cap. 21]


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