sapori proibiti

Creato il 13 settembre 2013 da Sara
Una bella mela rossa addentata, un serpentello verde e il titolo: "saveurs interdites", sapori proibiti. Potenza dell'immagine e magia delle parole, come si fa a non essere attirati? In edicola ho subito comprato il numero di settembre-ottobre della rivista bimensile "Le Monde des Religions" e l'ho letto tutto d'un fiato. Ci si interroga sul rapporto col cibo delle varie religioni, regole, proibizioni, digiuni, sacralità, significati e le firme degli articoli sono tutte prestigiosissime, scrittori, ricercatori universitari, antropologi, filosofi. Il dossier si apre su questa benedetta mela  immagine icona per antonomasia del peccato originale: ma da dove spunta la mela? Nella Bibbia Ebraica, il testo più antico delle tre religioni monoteiste, non vi è traccia del frutto, nella Genesi si parla del divieto divino per Adamo ed Eva di mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male senza specificare quale sia e alcuni commentatori pensano che potrebbe essere la vite o un fico, bisognerà aspettare la cultura latina dei secoli seguenti e un'ambigua traduzione della Vulgata per veder spuntare il frutto vermiglio simbolo da sempre nel mondo occidentale della trasgressione umana e a ben pensarci della sua emancipazione. Leggendo scopro che già nell'antica Grecia senza Dio i filosofi si interessano al cibo che non ha solo una valenza alimentare, nel gioco della speculazione già presenti i temi del destino, della crescita spirituale e della salvezza umana. Si predica l'astinenza da certi alimenti,  nei riti orfici in particolare dall'uovo, portatore per eccellenza dell'archè, il principio creatore, "l'essere che genera e contiene l'universo" scrive Plutarco; Pitagora, considerato un vero saggio, invita  i suoi discepoli ad essere strettamente vegetariani come lui e nel trecento circolerà un Trattato sull'astinenza dalla carne degli animali. Un rapporto dunque controllato quello col cibo, una ginnastica spirituale per risvegliare la coscienza dell'adepto, dell'iniziato. Niente carne ma meloni, angurie, cetrioli, zucche e olive, un menù strettamente vegetariano, anche presso gli Eletti manichei, religione dei Due Principi fondata da Mani nel III° secolo della nostra era. Sant'Agostino che è stato manicheo per dieci anni prima di convertirsi al cattolicesimo e di combattere i vecchi compagni di credo informa nei suoi scritti che per il manicheismo tutto è creatura vivente," il frutto del fico, quando è colto, piange lacrime di latte, proprio come la pianta, sua madre" ( Le Confessioni). Prescritta nella Torah, il Pentateuco ebraico, la Kasherut è quell'insieme complesso di norme e precetti che regolano il rapporto col cibo della tavola ebraica. La giornalista e scrittrice Aurélie Godefroy, autrice dell'articolo, lo  inizia citando una frase molto interessante dell'antropologo Claude Lévi-Strauss: "Un aliment n'est pas seulement bon à manger, mais il est aussi bon à penser" che sintetizza magistralmente il ruolo simbolico ed etico del cibo nell'ebraismo. Distinzione tra cibi puri e impuri, una certa macellazione delle carni perché siano completamente scevre di sangue, sinonimo di vita, e il divieto di assumere durante uno stesso pasto carni e latticini sono principi-guida spesso interpretati come precauzioni dietetiche per epoche lontane in cui certo non c'erano gli standard igienici di oggi, ma questa è una lettura superficiale e comunque insufficiente, non a caso c'è una ricchissima letteratura dei saggi della tradizione ebraica che si interrogano sul significato profondo di ogni norma. Perché per esempio l'assunzione solo di animali ruminanti? Un invito all'uomo a prendere tempo e "ruminare" le idee? Perché leciti solo animali con lo zoccolo scisso che meglio aderisce al terreno nel procedere? Un invito forse a non agire senza riflettere, a tradurre la riflessione in atti concreti? Che fregatura comunque passare per il "popolo eletto"! Per i cristiani la vita alimentare è molto più semplice e forse dietro c'è lo zampino della grande spinta all'evangelizzazione che ha esigenze di semplificazione. Il cristiano non ha regole specifiche in materia di alimentazione, il famoso pesce del venerdì non è menzionato in nessun testo, è per lo più è un invito ad astenersi dalla carne nel giorno in cui Cristo ha sofferto sulla croce. D'accordo, potranno mangiare di tutto, ma anche i cristiani hanno le loro belle gatte da pelare: fra il peccato di gola strettamente a braccetto con l'amico peccato di lussuria entrambi ospiti di riguardo delle rappresentazioni iconografiche dell'inferno, fra martiri della fede, mortificazioni della carne, astinenze e digiuni come viatico verso l'ascesi spirituale veicolati dalla Chiesa nei secoli, si è appena nati e già ci si sente in colpa, un fardello pesante da portare. Responsabile di questa colpa cosmica è forse l' interpretazione del messaggio cristico secondo il quale la felicità non è da ricercarsi su questa terra, qui e ora, ma nell'al di là, il regno annunciato non è terrestre ma celeste e il paradiso lassù è garantito a chi ha tanto sofferto quaggiù. Per una ventata di leggerezza, per una sana ribellione, bisognerà aspettare il secolo dei lumi e Voltaire che arditamente afferma: "Le paradis est où je suis", il paradiso è dove sono. Kasher per i figli di Israele e halal per i figli di Maometto, forse cambia il nome ma non la sostanza, anche per loro regole e proibizioni, non a caso il Corano afferma che i credenti mussulmani debbono osservare molte delle norme alimentari del popolo del Libro e mi viene da pensare che ce n'è una caterva e basteranno per tutti. Per i mussulmani è molto più vasta la gamma di animali e pesci commestibili, ma la macellazione rituale è la stessa, si aggiunge inoltre il lungo  digiuno del Ramadan e la proibizione dell'alcool. " Proteggere il vivente" in nome del carattere sacro della vita sarà la parola d'ordine delle varie religioni o filosofie indiane che preconizzano di non mangiare carne secondo regole più o meno restrittive, ma mi fermo qui perché non vorrei scrivere un romanzo.Per finire accenno a due articoli del dossier altrettanto interessanti, uno intitolato "il vino, nettare degli dei e debolezza degli uomini" in cui si sottolinea la duplice valenza di questa magica bevanda protetta anche dagli dei greci e romani Dionisio e Bacco, presente e sacra nelle liturgie religiose di ebrei e cristiani, ma anche nefasta per il suo potere afrodisiaco di spingere l'uomo a indegni eccessi e obnubilarne la mente. Con una bella fotografia di un suino al cetriolo che mi permetto di riprendere dalla rivista, il secondo articolo si intitola "il maiale, dalla gloria all'infamia" e filosofeggiando sul suo amaro destino ci si domanda perché il povero animale particolarmente apprezzato nell'antichità sia poi stato tassativamente bandito da ben due delle tre religioni monoteiste. Chi vuole conoscerne le ragioni deve andare a leggersi l'articolo. 
P.S. Parlando di digiuni e proibizioni mi è venuta una fame tremenda, quasi quasi mi faccio due spaghetti al pomodoro che sono sicura andranno bene a tutti, preti, imam e rabbini e perché no, anche a sciamani, bramini e monaci buddhisti tibetani. Evviva la pastasciutta!  

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