- Anno: 2014
- Durata: 111'
- Distribuzione: Satine Film
- Genere: Drammatico
- Nazionalita: Francia
- Regia: Lucas Belvaux
- Data di uscita: 23-April-2015
Dopo la conturbante Mathilde, nel Marito della parrucchiera di Patrice Leconte (1990), e la delicatissima, ma determinata, Layale in Caramel di Nadine Labaki (2007), torna ora la figura della parrucchiera al cinema. E’ la bionda, coloratissima, Jennifer (Émilie Dequenne), nel film Sarà il mio tipo? di Lucas Belvaux. Titolo riduttivo, che vuole riscattarsi nel sottotitolo, E altri discorsi sull’amore, per una storia che ci interroga seriamente sulla maniera di vivere il sentimento più spiazzante della nostra vita, ma che ripropone, alla fine, lo stesso, eterno quesito. Se in tutte le coppie debba esserci sempre chi ama di più e chi meno, se e fino a che punto convenga lasciarsi andare fino a dirle tutte, ma proprio tutte, le parole dell’amore, o non sia più sano tenerne qualcuna per sé.
E’ molto bionda, Jennifer, allegra, esuberante, soprattutto quando il sabato sera indossa i suoi abiti di lamé e canta con le amiche imitando le grandi star, in un locale di provincia. Sembra vivere di karaoke e rotocalchi; in realtà incarna perfettamente la massima di Alda Merini: “Se le donne sono frivole, è perché sono intelligenti ad oltranza”.
Ma il cinema continua a confinare la leggerezza nella sottocultura, mentre la cultura, quella vera, è tutta condensata qui nel personaggio maschile di Clément (Loïc Corbery), professore di filosofia, parigino, autore di un libro che mentre parla di sentimenti, li annulla con la sua razionalità.. Lo si vede di casa a Les Deu Magots, frequentare i vernissage, lavorare in una biblioteca che intimidirebbe chiunque, ribellarsi all’idea di dover insegnare in un liceo di Arras, perché, dice, la provincia finirà per ucciderlo.
Invece di spegnersi, comincia a corteggiare la parrucchiera del luogo dopo il primo taglio di capelli e i due, così naive lei e così raffinato lui, si innamorano. Jennifer, che ha buonsenso, non cede subito, ma poi mette da parte ogni timore: dice più volte di amarlo, lo chiama “gattone filosofo”, con una spontaneità che non merita il mutismo di lui, le risposte sostituite dallo sguardo attento e dal sorriso sornione, dal balbettio dei “forse”, dei “non so”. Tutte le parole che invece sa e potrebbe dire sembrano smorzarsi sul nascere, farsi barriera comunicativa, fino ad esprimersi soltanto leggendole i grandi autori. Le regala Dostoevskij e Kant, mentre lei racconta l’ultimo gossip su cui è ferratissima e lo costringe a un ballo sfrenato. Quando Clément, dopo tante resistenze si abbandona alla danza, ci si commuove, perché anche noi possiamo finalmente, anche se per poco, allentare le difese.
Si poteva costruire una commedia divertente, perché ci piace godere delle differenze; è stata scelta invece una narrazione sincera, sulla difficoltà delle intese quando nella realtà tutto divide. Non ci si rilassa quasi mai davanti a questa storia d’amore, neanche all’inizio, nonostante sia lieve, perché siamo già sospettosi della sua durata e già, sulle luci dei volti che si innamorano, intuiamo l’ombra della delusione. Soffre soprattutto Jennifer, o forse no, forse è solo lei a dichiararlo, con il senno dell’amore (che ossimoro, ahinoi!), che le fa dire “Se non sei geloso è perché non mi ami abbastanza”; soffre ancora di più non potendosi acquietare dopo la risposta banale, stupidamente giustificatoria : “non sono geloso perché mi fido di te”.
La prima parte del film racconta lo stupore, l’incredulità, la gratitudine dell’amore; la seconda i giochi, le paure, le insensatezze di tutte le coppie del mondo, e di sempre. Chissà se è vero che Jennifer ama più di Clément! O se è perché lei non ha paura a dirlo! Se la loro distanza poi è solo culturale, o di carattere, o, perché no, di genere. Là dove il femminile che viene da Venere parla per essere rassicurato ed il maschile che viene da Marte, invece, tace, perché si paralizza, tanto più la richiesta è pressante, tanto più il bisogno di lei è così intenso da compromettere persino la relazione.
Certo Clément parte svantaggiato, se il regista Lucas Belvaux ce lo mostra all’inizio mentre la sua donna parigina lo lascia, rinfacciandogli l’incapacità di esprimere emozioni e di impegnarsi nella coppia. Però, ora sembrerebbe davvero innamorato di Jennifer, mentre lei continua a coinvolgerlo e avvolgerlo nel suo essere così spudoratamente autentica. Insomma, sono lì, che si avvicinano e allontanano: un uomo e una donna che la distanza rende prima complementari, e poi inconciliabili, perché sanno amare ciascuno con la propria modalità e nessuno dei due è capace di comprendere quella dell’altro.
Pas son genre (Non il mio tipo) è il titolo francese, dal libro di Philippe Vilain, perchè in effetti non ci sarebbe bisogno neanche di chiederselo. Jennifer non è il tipo di Clement, così come Clement non è il tipo di Jennifer. Questo noi lo capiamo subito, con maggiore sapienza dei protagonisti, e sappiamo soprattutto di non poter sperare nel lieto fine, per l’impaccio con cui ciascuno si muove nel mondo dell’altro. Ma se all’inizio possiamo ancora ragionare sulla differenza tra i due (sociale e culturale), quando il legame diventa più forte non ci resta che affrontare emotivamente il dispiacere della fine. Si tratta solo di vedere quando, come, e con quanto dolore avverrà. E, ancora una volta, chiederci, come ha fatto Simone de Beauvoir, quali sono i meccanismi misteriosi dell’innamoramento e dell’amore:
“Perché ci s’innamora? Nulla di più complesso. Perché è inverno, perché è estate, per eccesso di lavoro o per troppo tempo libero, per forza per bisogno di sicurezza, per amore del pericolo, per disperazione, per speranza. Perché qualcuno non ti ama. Perché qualcuno ti ama”.
Margherita Fratantonio